lunedì 28 settembre 2009

LA LUCE OLTRE LA VITA , R. Moody

Il dottor Michael Grosso è un filosofo, e occupa pertanto una posizione unica nel campo della ricerca sull’esperienza di pre-morte. Anziché compilare dati empirici, come fanno i colleghi scienziati, Grosso indaga sui legami tra le esperienze di pre-morte e le grandi verità filosofiche. E li trova anche: come vedrete di seguito, il dottor Grosso vede una stretta connessione tra le esperienze di questi soggetti e le dottrine dei grandi pensatori, da Platone a Cristo. Tuttavia, non è questa l'unica associazione scoperta da questo filosofo formatosi all’Università della Columbia: quando andai a trovarlo nella sua casa di Riverdale (New York), ero curioso di sentirlo parlare della sua convinzione che le esperienze di premorte siano legate a molti altri fenomeni parapsicologici, come quello della trasmissione del pensiero. «Esistono molte vie d’accesso al mondo dello spirito - disse Grosso, - in gran parte molto più facili della morte».
Per il dottor Grosso, l’esperienza di pre-morte è un barlume di religione aconfessionale, della «religione come la intendeva Dio».
Ecco com’egli si esprime sull’argomento:
V’è in Platone quel mito meraviglioso chiamato «Il Mito della Terra Vera»: ne parla Socrate in prigione, prima di bere il veleno come ultima punizione per aver «corrotto» la gioventù di Atene.
Egli spiega ai suoi seguaci la condizione della «terra vera» e dello spirito, una volta liberato dal corpo. Ecco cosa dice:
Quelli però che sono ritenuti aver condotto una vita di eccezionale moralità... sono coloro i quali verranno liberati e riscattati dal confino in queste regioni terrene, per salire alla pura dimora, stabilendosi sulla superficie della terra. E quelli tra costoro che si saranno sufficientemente
purificati con la filosofia vivranno da allora in poi semplicemente senza un corpo, e raggiungeranno abitazioni ancora più belle, che non è facile descrivere.
Il punto più interessante, nell’opera di Platone, è che, in questo concetto più alto della terra vera, gli esseri umani sono in diretto contatto con gli dei. E' esattamente quanto io ho dedotto dalle esperienze di premorte. Sono convinto che questi soggetti abbiano comunicato con «gli dei» durante l’esperienza e che, pertanto, abbiano molto da insegnarci. Nel periodo in cui studiavo per la cattedra di filosofia ebbi una quantità di esperienze straordinarie, come per esempio quella di vedere un UFO, il che scatenò la mia fantasia.
Cominciai quindi a leggere libri di parapsicologia finché, qualche anno dopo, m’imbattei nei saggi sui fenomeni di pre-morte. Improvvisamente mi trovai a occuparmi di ricerca sull’eventualità di
un’altra vita. Quel che particolarmente mi affascinava, dell’esperienza di premorte, era il fatto che quella gente sembrava essersi recata nella terra vera descritta da Platone, con la differenza che questi erano episodi reali e non simbolici. In pieno ventesimo secolo, qualcuno viveva un’esperienza in perfetta risonanza con le descrizioni della visione platonica! Questo eccitava la mia immaginazione. Mi misi alla ricerca di queste persone: pensavo che la maggior parte di quella gente non fosse disposta a parlare, ma scoprii ben presto che invece erano tutti ansiosi di trovare un orecchio ricettivo. Puntualmente, il soggetto precisava: «Sa, non ne parlo quasi con nessuno!» prima di raccontarmi la sua storia affascinante. Per tutto il tempo, rimanevo incantato: era come sentire la descrizione di un viaggio in un altro paese, in un posto che da
sempre mi spaventava, ma che sapevo che un giorno avrei esplorato io stesso.
Faccio l’esempio di una donna che, durante un parto difficile, ebbe un collasso cardiaco. Mentre i medici s’impegnavano con tutti gli sforzi di rianimarla, il marito (che era presente) fu preso dal panico: era così sconvolto, che sembrava vi fosse un altro paziente in sala operatoria. Comunque, i medici riattivarono il cuore della donna e fecero nascere il bambino con taglio cesareo. La sera, quella donna raccontò al marito di aver lasciato il proprio corpo e di aver assistito dal soffitto a tutto quanto accadeva mentre era «morta»: sebbene fosse ancora intontita, riferì tutto quel che aveva visto, compresa la sua faccia avvilita in un angolo della stanza.
Vi fu un altro signore che mi descrisse con grande vivacità la sua notevolissima esperienza di pre-morte, così completa che andava dall’abbandono del corpo all’esame della vita. Tuttavia, non era tanto l’episodio in se stesso che l’aveva impressionato, quanto le sue conseguenze: era stupito della grande sensibilità acquisita. Prima dell’esperienza, era un uomo duro e bloccato dalla logica; adesso, si ritrovava ad essere molto più malleabile e fantasioso. Il più delle volte la mia reazione era di tipo intellettuale, nel senso che vi vedevo associazioni con cose di ogni genere: per esempio, col Libro tibetano dei morti e con l’esperienza di San Paolo nella Bibbia. Quei racconti evocavano in me un’infinità di reminiscenze culturali, come la storia fantastica di S. Tommaso d’Aquino, il filosofo e teologo dell’undicesimo secolo che impiegò quasi tutta la vita a scrivere profusamente, finché, dopo aver visto la luce, disse: «Tutto ciò che ho scritto è paglia». Smise di scrivere e, nello spazio di un anno, morì misteriosamente.
Dopo aver ascoltato tutte quelle storie, mi resi conto che della gente ordinaria, incolta, non preparata dal punto di vista mistico o filosofico, mi stava dando un barlume del regno dell’anima quale si riscontra soltanto in altre fonti, come gli scritti dei mistici, dei filosofi e dei poeti. Era come sistemare altri pezzi nel puzzle, come focalizzare finalmente un quadro: era questa l’eccitazione che provavo.
A volte mi domando se non sia giusta l’idea dei grandi saggi indù, secondo la quale basta la presenza di un essere altamente evoluto perché il meno evoluto ne ricavi uno scuotimento spirituale... una specie d’imposizione delle mani. A volte mi domando se non sia questa l’attrazione esercitata da questi racconti: trovandoci a contatto con queste persone riceviamo come una carica di energia. E di un’energia, secondo me, addirittura divina. Sono convinto, come molti altri, che avere un’esperienza di premorte significa entrare in una dimensione divina della coscienza umana, latente in ciascuno di noi.
Altri ricercatori hanno suggerito che vi sono altri modi di prendere contatto con questa dimensione della coscienza. Così, in qualche modo, se si parte dal modello teutonico di conoscenza di Platone (secondo il quale la conoscenza è la reminiscenza di cose che già sappiamo), la consapevolezza spirituale è già latente in tutti noi.
Mi domando quindi se il motivo della profonda attrazione esercitata dalle esperienze di pre-morte non sia il fatto che esse sollecitano dei ricordi radicati in noi. E' una specie di ritorno alle
origini: i racconti di esperienze di pre-morte sono come l’eco di qualcosa che è dentro di noi, e non ci stanchiamo mai di sentirli, perché risvegliano in noi questa consapevolezza. Naturalmente, mi sono anche posto dei problemi: come spiegare queste esperienze? Non saranno soltanto un’illusione, un frutto della fantasia? Credo che i casi che mi hanno maggiormente impressionato siano stati quelli in cui era palese l’esperienza extracorporea: di fronte all’accuratezza delle descrizioni, è impossibile ignorarli. Nel complesso, l’esperienza di pre-morte è un evento positivo, che tende a migliorare l’individuo; vi sono tuttavia i casi di esperienza di pre-morte negativa. Ho sempre preso sul serio questi ultimi, chiedendomi perché fossero così limitati. Abitualmente, il
fenomeno ha un effetto positivo come qualsiasi esperienza mistica, ma può essere terribilmente spaventoso al momento.
Permetta che le racconti il caso molto singolare di un giovane che tentò il suicidio: questo ragazzo era sempre stato un buono a nulla e non riusciva a concludere granché. Un giorno, prese un’overdose di medicinali che gli provocò due tipi di esperienze. Dapprima, semplicemente la sofferenza fisica, il disagio e l’orrore di sprofondare nello stato di pre-morte: ebbe un arresto cardiaco e si fece tutto livido. Per pura fortuna, alcuni amici presenti riuscirono a portare sul
posto del personale medico che lo rianimò. Il racconto dell’esperienza di pre-morte di quel ragazzo è il più ossessivo che abbia mai sentito. Mi parlò di esseri orripilanti che lo ghermivano, di un senso di claustrofobia, di ostilità, di terrore: quel racconto faceva pensare all’inferno di Dante. Non v’era nulla di positivo nella sua esperienza: nessun episodio extra-corporeo, nessun essere di luce, nulla di bello o di piacevole. Tuttavia, ne uscì completamente trasformato. Era diventato un altro, e io lo sentivo: v’era in lui una chiarezza, una moralità, un senso di autodeterminazione. Non che fosse particolarmente dotato o ambizioso, ma aveva acquisito un notevole senso di responsabilità. V’è un risvolto interessantissimo nella storia di questo ragazzo:
ero felice di aver potuto registrare il racconto dettagliato di quell’esperienza infernale ma, quando andai per riascoltarlo, si era cancellato tutto. Il registratore, che possedevo da almeno dieci anni, aveva sempre funzionato e ha sempre funzionato in seguito: eppure, la registrazione di quell’esperienza era sparita. Non so come spiegarlo: sarà stata una coincidenza, ma certamente molto strana.
Lo studio delle esperienze di pre-morte ha apportato due cambiamenti in me. Primo, mi sento maggiormente in contatto con la vita, e questo è un effetto liberatorio; l’altro interessante cambiamento deriva dal fatto che il fenomeno consente d’intravedere molte cose associate all’esperienza religiosa: stranamente, quando mi sembra di averne abbastanza di questa roba, mi accorgo che continuo a tornarci sopra per i mille riscontri che essa ha nella mia vita. Gli aspetti religiosi del fenomeno hanno certamente una grande importanza: paradossalmente, molte persone reduci dall’esperienza di pre-morte dicono che il più bel momento della loro vita è stato
quello in cui stavano per morire. Questo fa pensare alle parole di Euripide «Come facciamo a sapere che i vivi non sono morti e i morti non sono vivi?» e suggerisce il capovolgimento totale del comune buon senso. Io lo trovo affascinante, molti invece lo trovano inquietante, angosciante. Io vi trovo qualcosa di surrealistico, e sono sempre stato un ammiratore del surrealismo: in un certo senso, queste esperienze ci suggeriscono che la nostra abituale percezione del mondo potrebbe anche essere invalidata.
Qualcuno ha tentato di spiegare l’esperienza di pre-morte come un meccanismo biologico che interverrebbe in punto di morte. Non accetto questa spiegazione, perché non vedo quale vantaggio ne trarrebbe l’organismo una volta che fosse iniziato il processo di morte irreversibile. Mi è difficile immaginarla come una funzione biologica, perché lo trovo paradossale: quale bene farebbe al corpo un tipo di evoluzione simile? Altra cosa è, invece, l’evoluzione spirituale. Come disse un filosofo: «Il genio è quello che viene fuori quando ci si trova con le spalle al muro». Come società, non v’è dubbio che siamo già con le spalle al muro: il muro del nucleare. Se ci riflettete, non abbiamo più grandi possibilità di sopravvivenza biologica, a meno che non operiamo un’evoluzione spirituale... o un’involuzione: sono infatti convinto che quella che stiamo attuando sia una recrudescenza della conoscenza spirituale che è dentro di noi. Può anche darsi che, nell’incomprensibile schema dell’evoluzione, lo sviluppo di questa tecnologia autodistruttiva stimoli in realtà il risveglio dello spirito; può darsi che l’evoluzione spirituale sia quella che si verifica quando, come specie, non abbiamo una via d’uscita. Penso che sia proprio il rischio dell’autodistruzione massiccia attraverso queste armi incredibilmente sofisticate a provocare il
fenomeno fisico globale cui oggi assistiamo.
Il fenomeno dell’esperienza di pre-morte è soltanto uno dei numerosi esempi di quest’accelerazione nello sviluppo tecnico e intellettuale. Tutti questi eventi dello spirito sono legati a uno stesso filo. ..
Secondo me, v’è una sorta di interrelazione fondamentale tra queste esperienze, tutte manifestazioni del mutamento della coscienza collettiva di fronte all’eventualità dell’annichilimento nucleare. A questo proposito, è interessante notare che il fenomeno degli
UFO è cessato nel 1947, pochi anni dopo la prima bomba atomica e che, contemporaneamente, v’è stato in tutto il mondo un improvviso incremento delle visioni mariane.
Sono inoltre convinto che i cosiddetti fenomeni comunicativi, quelli in cui certuni riescono a parlare con i morti, siano un’altra versione del processo di rivelazione: si potrebbe dire, infatti, che il fenomeno comunicativo sia una facile via d’accesso all’esperienza di
pre-morte, un’apertura allo stesso tipo di conoscenza ma senza pericolo di vita. Secondo me, tutti coloro che hanno questo genere di esperienze passano per la stessa porta, ma in maniere diverse. Questo modo di pensare non ha leso né ha migliorato la mia reputazione nell’ambito professionale. Se alcuni colleghi che insegnano con me presso il Jersey City State College hanno voluto prendere in esame questi fenomeni, per lo meno altrettanti si sono rivelati contrari.
Gli accademici tendono ad associare lo studio di questi avvenimenti a qualcosa di retrogrado, superstizioso e irrazionale: tale atteggiamento non mi ha danneggiato, ma neanche mi ha aiutato. Suppongo che dovrei accontentarmi di questa corretta neutralità.

venerdì 25 settembre 2009

Shiatsu e fisica quantistica


Negli ultimi tre o quattro secoli la tendenza della scienza è stata quella di cercare di definire una totale divisione tra soggetto ed oggetto, mente e natura.
Galileo Galilei (1564-1642) fu il primo ad usare con regolarità la sperimentazione per investigare i fenomeni naturali (…e imprigionato dall’inquisizione per aver suggerito l’ipotesi che i pianeti ruotassero intorno al sole).
“Misura il misurabile e rendi misurabile ciò che non lo è” (Galileo) è divenuta la frase ispiratrice, il motto del moderno pensiero scientifico e filosofico e sottolinea l’approccio occidentale attuale alla salute ed alla medicina.
Nella moderna ricerca scientifica l’oggettività è ancora un principio base che viene però sempre più messo in questione sia all’interno che all’esterno della comunità stessa.
Nel ventesimo secolo l’esplorazione del mondo subatomico ha rivelato la natura intrinsecamente dinamica della materia. Non si ritiene più che la materia sia costituita da mattoni fondamentali, precisamente localizzabili nello spazio e nel tempo.
I costituenti dell’atomo sono configurazioni dinamiche che non esistono in quanto entità isolate ,ma in quanto parti interagenti di una inestricabile rete di interazioni.

Una “inestricabile rete di interazioni”: non è questo un modo stupendo di descrivere il sistema dei meridiani di Masunaga usato nello shiatsu?
In effetti l’attuale visione del mondo subatomico contiene in germe una visione di uomo e natura molto più evoluta, ove energia e materia non sono più entità separate, dove osservatore ed osservato non possono più essere separati, essendo essi stessi parte del fenomeno oggetto di studio.
La Fisica e la Matematica sono tutt’oggi le basi della Scienza. Nella Fisica moderna la vecchia visione Newtoniana / Cartesiana degli atomi come costituenti base è stata sostituita da una più complessa visione di interdipendenze ed interazioni, di energia e probabilità.
L’atteggiamento su cui si basa la Medicina occidentale ai giorni nostri è di suddividere e categorizzare. Nel frattempo, l’esplorazione a livello subatomico denuncia quanto semplicistica ed inadeguata sia una visone basata su questi principi. Se un’ atomo del fegato può essere descritto come una probabile vibrazione energetica interagente non sembrerebbe logico estrapolare che l’organo stesso può essere similmente descritto?
Analogamente nel Sistema Masunaga il meridiano non viene definito attraverso precisi riferimenti anatomici o punti ben localizzati, modalità usata dal modello tradizionale cinese. Masunaga suggerisce un approccio percettivo che richiede un adeguato atteggiamento mentale. Se siamo in grado di “allenare la mente” ad usare precise forme-pensiero, possiamo risuonare con l’energia del meridiano che stiamo cercando di contattare.
L’esperienza percettiva che ne risulta è ricca e significativa.
Parafrasando Masunaga stesso, i meridiani della sua rappresentazione energetica hanno natura e profondità variabile, ed il modo in cui si manifestano dipenderà dalla natura del trattamento dato e dalla natura dell’interazione tra operatore e cliente.
Ciò non significa che un sistema è giusto e l’altro è sbagliato: ognuno offre una peculiare visione del mondo, ciascuno nella sua specifica prospettiva (segni e sintomi nel caso del modello della Medicina Tradizionale Cinese, la persona nel suo processo di vita nel caso del sistema Masunaga ).
L’obiettivo del trattamento cambia a seconda della "Visione del Mondo" che abbiamo. In realtà, nulla nella nostra realtà quotidiana ci permette di comprendere gli strani fenomeni che dominano il mondo subatomico. Lo stesso Einstein pare abbia affermato: “La realtà è un’illusione, anche se alquanto persistente”. Nel mondo subatomico, le particelle si comportano come onde e viceversa, gli elettroni perdono la loro identità e si modificano a seconda di chi li osserva. Un singolo fotone sembra essere in due luoghi contemporaneamente.
Quando osservatore ed osservato sono pensati come parte del fenomeno stesso, non ha più alcun senso confrontare le informazioni raccolte, per esempio nella diagnosi di Hara. Ciò che si manifesta nell’incontro di due persone è unico ed appartiene a quel contesto specifico, non limitato ma arricchito dall’unicità dell’esperienza.
L’effettiva rivoluzione avvenuta con la teoria di Einstein fu l’abbandono dell’idea secondo la quale spazio e tempo fossero grandezze con valore assoluto. La teoria di Einstein suggerisce che tali valori sono elementi di un linguaggio che viene usato da un osservatore per descrivere un ambiente. Quindi, come tali, relativi all’osservatore ed all’ambiente stesso. Sia i fisici moderni che i mistici orientali affermano che tutti i fenomeni in questo mondo di cambiamento e trasformazione sono dinamicamente connessi. Sono inoltre d’accordo nel sostenere che sia la struttura della natura che i fenomeni in essa osservati non sono altro che creazioni della mente umana, che misura e classifica. Maya è il nome che a tutto ciò viene dato dagli induisti, mentre i buddisti parlano di Avydia.
Quando pratichiamo lo Shiatsu basato sul sistema Masunaga, vogliamo contattare una qualità vibrazionale che ha la sua massima probabilità di espressione lungo percorsi suggeriti sulla mappa. In questo contesto non siamo vincolati alle quattro dimensioni spazio-temporali che regolano la realtà quotidiana o alle leggi classiche che regolano i fenomeni naturali. Possiamo anche svincolarci dal modello tradizionale Cinese, che, similmente al modello occidentale prima di Galileo e delle sue esperienze con il telescopio, colloca l’uomo al centro dell’Universo, tra Cielo e Terra. La visione di Masunaga non è più così antropocentrica. L’uomo è, nell’ Universo, uno degli infiniti corpi energetici interagenti tra loro.
La spazialità non è più a tre dimensioni ed il fattore tempo non ha più un andamento lineare. Tutto è, in un certo senso, apparenza che si manifesta nel momento del presente. L’Universo che si svela e si rivela ai nostri sensi.
Come conseguenza di un’allargata definizione dei fattori Spazio e Tempo, il concetto del Kyo e Jitsu assume un significato più ampio rispetto al modello quantitativo di vuoto/pieno. Risulta superato anche il modello qualitativo, che vede nel Kyo un prima/causa/bisogno compensato da un jitsu dopo/effetto. Ora c’è una manifestazione “Kyo-Jitsu” che insieme rappresenta il “movimento in vita” di quell’essere umano, con una varietà di possibili sfumature per comprendere il processo in corso che prima si perdevano. Parlando di meridiano come onda, lo spettro delle diverse frequenze di vibrazione che la descrive rappresenta le diverse manifestazioni di quel meridiano-funzione a tutti i livelli (fisico, emotivo, mentale, spirituale). Nello Shiatsu usiamo istintivamente vibrazioni e ritmi come strumento per sintonizzarci con l’energia a tutti questi diversi livelli. Questo forse è sufficiente a spiegare perché stili di shiatsu più statici sono efficaci soprattutto sul piano fisico ed emotivo, che corrisponde alla parte dello spettro di frequenze più basse. Spiega anche perché non sono possibili “ricette a priori” di intervento sul Kyo e sul Jitsu, esistendo possibili molteplici combinazioni di meridiani e livelli che danno alla stessa manifestazione sintomatica significati diversi, che richiederanno modalità di intervento differenziato. Quando lavoro cerco di non avere preconcetti riguardo al mio intervento. Desidero incontrare l’altro con un atteggiamento ed un tocco aperto, in grado di coglierne le diverse espressioni di vita. Solo così posso modulare la mia risposta cercando la risonanza, “l’eco vitale” che nel suo manifestarsi fornirà informazioni preziose per il trattamento. A volte, in una frazione di secondo, l’intera vita del ricevente sembra scorrere davanti a noi, e ciò merita il più profondo rispetto, prima ancora della comprensione del fenomeno stesso. Con umiltà, durante la seduta shiatsu, cerco di sostenere il mio ricevente a riconoscere le sue risorse e potenzialità affinché possa utilizzarle al meglio per la sua vita.

di Patrizia Stefanini


“La danza di Shiva è la danza dell’Universo: il flusso incessante di energia che attraversa un’infinita varietà di configurazioni che si fondono una nell’altra” - F. Capra- The Tao of Physics

Patrizia Stefanini è la fondatrice e la direttrice didattica dell’Istituto Europeo di Shiatsu di Milano e Firenze. Laureata in Fisica e specializzata in Fisica Sanitaria, vive la sua esperienza di Shiatsuka alternando sessioni individuali ed insegnamento in Italia ed all’estero, ove da anni partecipa a Congressi Internazionali.
Sembrerebbe esserci un abisso tra una laurea in Fisica Teorica e lo Shiatsu. Per Patrizia invece si tratta di una evoluzione naturale : lo Shiatsu che insegna è ricco di riferimenti alle teorie fondamentali della Fisica moderna, alla scoperta di parallelismi con le discipline e le filosofie orientali.

fonte: http://shiatsuincammino.it/index.php?option=com_content&task=view&id=44&Itemid=45

L'USIGNOLO

giovedì 24 settembre 2009

Jung, Pensieri


Il ricordo dei fatti esteriori della mia esistenza si è in gran parte sbiadito o è svanito nel nulla ma i miei incontri con l’altra realtà, gli scontri con l’inconscio si sono impressi in modo indelebile nella mia memoria. Ogni altra cosa al confronto ha perduto importanza. Posso comprendere me stesso solo in rapporto alle vicende interiori, sono queste che hanno caratterizzato la mia vita, ecco perché parlo principalmente di queste esperienze. I sogni e le fantasie costituiscono parimenti la materia prima della mia attività scientifica, sono stati per me il magma incandescente dal quale nasce cristallizzandosi la pietra che deve essere scolpita. Nel nostro giardino sporgeva un masso, era la mia pietra. Spesso quando ero solo andavo a sedermi su quella pietra e cominciava allora un gioco fantastico, pressappoco di questo genere “sono quello che è seduto sulla pietra o io sono la pietra sulla quale egli siede”. Non nutrivo dubbi che la pietra fosse in qualche oscuro rapporto con me e potevo starci seduto per ore affascinato dal suo enigma. La pietra non ha incertezze non ha bisogno di esprimersi ed è eterna, vive per millenni pensavo, mentre io sono solo un fenomeno passeggero che si consuma in emozioni di ogni genere come una fiamma che divampa rapidamente e poi si spegne. Io ero solo la somma delle mie emozioni e qualcosa d’altro in me era la pietra senza tempo. Ero costantemente alla ricerca di qualcosa di misterioso, mi immergevo nella natura, quasi mi confondevo nella sua stessa essenza fuori dal mondo degli uomini. Oggi come allora sono un solitario, perché conosco e intuisco cose che gli altri ignorano e di solito preferiscono ignorare...

Anch’io posseggo questa natura arcaica che in me si combina col dono, non sempre piacevole, di vedere la gente e le cose come realmente sono...

Giunsi sulla cima, e lì, in quell’aria insolitamente leggera, contemplai inimmaginabili lontananze. “Si è questo il mio mondo” pensai “il vero mondo, quello segreto dove non vi sono insegnati e scuole e dove uno può essere, senza dover chiedere nulla”. Tutto era molto solenne e avvertivo la necessità di essere gentile e silenzioso perché mi trovavo nel mondo di Dio, qui il suo mondo era tangibile...

Il sogno è la piccola porta occulta che conduce alla parte più nascosta e intima dell’anima, aperta sull’originaria notte cosmica che era già anima, molto prima che esistesse la coscienza dell’io. La coscienza divide, ma col sogno noi penetriamo nel luogo più profondo, universale, vero ed eterno, ancora immerso nell’oscurità di quella notte primitiva in cui egli era tutto e tutto era in lui nella natura indifferenziata e priva di ogni io. Da questa profondità che collega tutto nasce il sogno. Talora con lunghi giri, noi dobbiamo condurre l’individuo in una zona oscura, visibilmente insignificante, irrilevante e inessenziale della sua anima e dobbiamo fare ciò seguendo una via che è stata abbandonata da tempo riconosciuta come illusione, anzi sciocchezza. Quella zona non è altro che il fugace effimero grottesco prodotto della notte: il sogno, e la via è la comprensione del sogno. Occuparsi dei sogni significa prendere coscienza di se. L’arte di interpretare i sogni non si può apprendere dai libri, nessuno che non conosca se stesso può conoscere l’altro e in ognuno vi è un altro che noi non conosciamo che ci parla attraverso il sogno e ci comunica un immagine diversa da quella che abbiamo di noi stessi...

Ho spesso visto persone diventate nevrotiche per essersi accontentate di risposte inadeguate o sbagliate ai problemi della vita. Cercano la posizione, il matrimonio, la reputazione, il successo esteriore o il denaro e rimangono infelici e nevrotiche anche quando hanno ottenuto tutto ciò che cercavano. Persone del genere di solito sono confinate in un orizzonte spirituale troppo angusto, la loro vita non ha sufficienti contenuti, non ha significato. Se riescono ad acquistare una personalità più ampia, generalmente la loro nevrosi scompare. Tra i cosiddetti nevrotici del nostro tempo, ve ne sono molti che in altre epoche non lo sarebbero stati, non sarebbero stati cioè in disaccordo con se stessi. Se fossero vissuti in un epoca, in un ambiente nel quale l’uomo, attraverso i miti era ancora in rapporto con il mondo ancestrale e quindi con la natura sperimentata realmente non vista solo dall’esterno, avrebbero potuto evitare questo disaccordo con se stessi. Oggi si vuol sentire parlare di grandi programmi politici ed economici, ossia proprio di quelle cose che hanno condotto i popoli ad impantanarsi nella situazione attuale. Ed ecco che uno viene a parlare di sogni e di mondo interiore, tutto ciò è ridicolo, che cosa crede di ottenere di fronte a un gigantesco programma economico, di fronte ai cosiddetti problemi della realtà? Ma io non parlo alle nazioni io mi rivolgo solo a pochi uomini. Se le cose grandi vanno male è solo perché i singoli individui vanno male, perché io stesso vado male. Perciò per essere ragionevole l’uomo dovrà cominciare con l’esaminare se stesso, e poiché l’autorità non riesce a dirmi più nulla, io ho bisogno di una conoscenza delle intimi radici del mio essere soggettivo. E' fin troppo chiaro che se il singolo non è realmente rinnovato nello spirito neppure la società può rinnovarsi, poiché essa consiste nella somma degli individui.

Ridere

mercoledì 23 settembre 2009

domenica 6 settembre 2009

sabato 5 settembre 2009

BARBABLU


La fiaba di Barbablu


"Una matassina di barba è conservata in un convento di monache lontano sulle montagne. Come sia arrivata al convento nessuno lo sa. Alcuni dicono che furono le monache a seppellire quello che restava del suo corpo, perché nessun altro lo avrebbe toccato. Perché mai le monache conservino una siffatta reliquia nessuno lo sa, ma è vero. L’amica della mia amica l’ha vista con i suoi occhi. Dice che la barba è blu-indaco per l’esattezza. E’ blu come il ghiaccio scuro sul lago, blu come l’ombra di un buco di notte. Questa barba apparteneva un tempo ad uno che dicevano fosse un mago mancato, un gigante con un debole per le donne, un uomo noto con il nome di Barbablu. Si diceva corteggiasse tre sorelle contemporaneamente. Ma quelle erano spaventate dalla barba dallo strano colore, e così si nascondevano quando le chiamava. Nel tentativo di convincerle della sua mitezza, le invitò a una passeggiata nel bosco. Arrivò con cavalli ornati di campanelli e di nastri cremisi, sistemò le sorelle e la loro madre sui cavalli,e al piccolo galoppo si avviarono nel bosco.
Fecero una stupenda cavalcata, con i cani che correvano davanti e accanto a loro. Poi si fermarono sotto un albero gigantesco e Barbablù le intrattenne raccontando storie e offrì loro leccornie. Le sorelle cominciarono a pensare: “Insomma, questo Barbablù forse non è poi tanto cattivo”. Tornarono a casa e non finivano di parlare di quella giornata così interessante, di quanto si erano divertite, pure, riaffioravano i sospetti e i timori nelle due sorelle maggiori, ed esse giurarono di non rivedere mai più Barbablù. Ma la più piccola pensò che se un uomo poteva essere tanto affascinante, allora forse non era poi tanto cattivo. Più rimuginava tra sé, meno le sembrava terribile, e anche la barba le pareva meno blu. Così quando Barbablù chiese la sua mano, lei accettò. Aveva accolto con orgoglio la proposta di matrimonio, e pensava di sposare un uomo molto elegante. Si sposarono, e poi andarono al suo castello nei boschi.Un giorno andò da lei e le disse: “Devo andare via per qualche tempo. Invita qui la tua famiglia, se ti fa piacere. Potrete cavalcare nei boschi, ordinare ai cuochi di preparare un banchetto, potrai fare tutto quello che vuoi, tutto quello che il tuo cuore desidera. Puoi aprire tutte le porte dei magazzini, le stanze del tesoro, qualunque porta del castello; ma non usare questa piccola chiave con la spirale in cima”. Rispose la sposa: “Sì, farò come dici. Mi sembra bellissimo. Vai dunque, mio caro marito, non preoccuparti e torna presto”. Così lui partì, e lei rimase. Le sorelle andarono a trovarla e, come tutte le donne, erano molto curiose di sapere che cosa il padrone aveva detto di fare durante la sua assenza, gaiamente la giovane sposa raccontò tutto. Le sorelle decisero di fare il gioco di trovare quale chiave apriva quale porta. Il castello era di tre piani, con un centinaio di porte in ogni ala, e siccome molte erano le chiavi del mazzo, si divertirono immensamente a passare da una porta all’altra. Dietro a una porta c’erano le dispense, dietro a un’altra i depositi delle monete. In ogni stanza c’erano beni di ogni sorta. E ogni volta sembrava tutto più meraviglioso. Alla fine arrivarono alla cantina. Si scervellarono sull’ultima chiave, quella con la piccola spirale in cima. Udirono uno strano suono, sbirciarono dietro l’angolo e - guarda, guarda!- c’era una porticina che si stava appunto richiudendo. Cercarono di riaprirla, ma era sprangata. Una gridò: “sorella, sorella porta la tua chiave. Sicuramente è questa la porta della misteriosa chiavetta”. Senza riflettere neanche un momento una delle sorelle infilò e girò la chiave nella toppa. La serratura scattò, la porta si spalancò, ma dentro era così buio che non potevano vedere nulla. “Sorella, sorella porta una candela”. Venne accesa una candela e portata nella stanza, e le tre donne lanciarono tutte insieme un urlo perché la stanza era un lago di sangue e ossa annerite di cadaveri erano sparse ovunque, e negli angoli i teschi erano impilati come piramidi di mele. Richiusero velocemente la porta, sfilarono la chiave dalla toppa e si aggrapparono l’una all’altra, respirando affannosamente. Dio mio! Dio mio! La sposa guardò la chiave e vide che era macchiata di sangue. Terrorizzata usò l’orlo della gonna per ripulirla, ma il sangue restava. Ogni sorella prese la chiavetta in mano e cercò di farla diventare come prima ma il sangue non se ne andava. La sposa si nascose in tasca la piccola chiave e corse in cucina. Quando arrivò, il suo abito bianco era macchiato di rosso dalla tasca all’orlo perché la chiave lentamente versava gocce di sangue rosso scuro. Ordinò al cuoco di darle uno strofinaccio, strofinò la chiave, ma non smetteva di sanguinare, goccia su goccia, puro sangue rosso. Portò fuori la chiave, la strofinò con la cenere. La ricoprì di ragnatele per arrestare il flusso, ma niente riusciva ad arrestare il sangue. Pensò di nasconderla, la mise nell’armadio e chiuse la porta. Il marito tornò la mattina dopo ed entrò nel castello chiamando la sua sposa. “allora, com’è andata durante la mia assenza?”“E’ andato tutto bene sire”“bene, allora sarà meglio che tu mi restituisca le chiavi”con una rapida occhiata si accorse che mancava una chiave. “Dov’è la chiave più piccola?”“Io…io l’ho perduta. Stavo cavalcando e il mazzo di chiavi mi è caduto”“Non mentirmi! Dimmi cosa hai fatto con quella chiave!” le posò una mano sulla guancia come per accarezzarla, ma invece la afferrò per i capelli. “Infedele” ringhiò, e la gettò a terra “sei stata nella stanza, vero?” Spalancò l’armadio e la piccola chiave sul ripiano in alto aveva sanguinato sangue rosso sulle belle sete dei suoi abiti appesi lì.“Ora tocca a te mia signora” urlò, e la trascinò nella cantina, fino alla terribile porta. La porta si aprì. Là giacevano gli scheletri di tutte le sue mogli precedenti.“Eccoci!” ruggiva, ma lei si era aggrappata alla porta e non lasciava la presa. Implorò per la sua vita ” ti prego, consentimi di raccogliermi per prepararmi alla morte. Concedimi un quarto d’ora per trovarmi in pace con Dio”.“Va bene avrai un quarto d’ora, e fatti trovare pronta”.La sposa salì di corsa le scale per raggiungere la sua camera e per mandare le sue sorelle sui bastioni del castello. Interrogava le sorelle.“Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?”“Non vediamo nulla, nulla sulle pianure aperte”“Vediamo un turbine in lontananza, forse un polverone” Intanto Barbablù chiamò a gran voce la moglie perché scendesse in cantina, dove l’avrebbe decapitata.“Sorelle, sorelle! Vedete arrivare i nostri fratelli?” Urlarono le sorelle: “Sì, vediamo i nostri fratelli che arrivano ed entrano nel castello!”Barbablù si lanciò verso la camera della moglie. Pesanti erano i suoi passi, le pietre del vestibolo si aprirono, la sabbia della calcina cadde sul pavimento.Mentre Barbablù entrava nella stanza con le mani tese per afferrarla, i fratelli a cavallo percorsero a cavallo il vestibolo del castello e a cavallo entrarono nella stanza. Lanciarono Barbablù sul bastione, con le spade sguainate avanzarono verso di lui, colpendo e fendendo, tagliando e sferzando, lo abbatterono a terra, uccidendolo infine e lasciando alle poiane il suo sangue e le cartilagini. "
Questa storia riguarda l’uomo nero che abita la psiche di tutte le donne, il PREDATORE INNATO. Barbablù rappresenta un complesso di profonda reclusione che si acquatta ai margini della vita di ogni donna e osserva, in attesa di un’occasione per contrastarla. Dobbiamo riconoscerlo, proteggerci dalle sue devastazioni e infine privarlo della sua energia sanguinaria. Donne ingenue come prede. La donna INGENUA sarà catturata dal suo stesso cacciatore interiore. Nella storia, la sorella più giovane mostra una totale ingenuità sui propri processi mentali e una totale ignoranza dell’aspetto delittuoso della propria psiche, si lascia adescare dai piaceri dell’IO. Tutti gli esseri umani vogliono raggiungere il paradiso subito, ma l’intenso desiderio del paradisiaco, se si combina all’ingenuità, fa di noi cibo per il predatore. Un precoce addestramento a “mostrarsi carine” induce le donne a calpestare le proprie intuizioni. Alcuni aspetti della psiche, rappresentati dalle sorelle maggiori, sono dotati di maggiore introspezione, le loro voci vanno ascoltate. La donna ingenua insiste nella mossa distruttiva, come spinta da un coatto barbabluesco. In un angolo riposto della sua mente ci sono sicuramente le sue sorelle maggiori che le dicono: “No, basta! Non fa bene alla mente ne’ al corpo. Ci rifiutiamo di continuare”. Ma il desiderio di trovare il paradiso spinge la donna a sposare Barbablù, il mercante di droga per le vette psichiche. La promessa ingannevole del predatore è che la donna diverrà regina, invece si programma il suo assassinio.
La chiave. La piccola chiave è l’accesso al segreto che tutte le donne sanno e che pure non sanno. La donna ingenua accetta di “non sapere”. Proibire a una donna di usare la chiave della consapevolezza la priva del suo naturale istinto alla curiosità e della scoperta di “quello che sta sotto”. Decidendo di aprire la porta della stanza segreta, una donna sceglie la vita. Banalizzare la curiosità femminile nega l’introspezione, le impressioni, le intuizioni della donna. Cerca di attaccare il suo potere fondamentale. Porsi la domanda giusta è l’azione centrale della trasformazione. La domanda-chiave provoca la germinazione della consapevolezza. Le domande sono le chiavi che fanno spalancare le porte segrete della psiche. Lo Sposo - Bestia. Una donna può cercare di nascondersi le devastazioni della sua esistenza, ma l’emorragia (il sangue sulla chiave), la perdita dell’energia vitale, continuerà finche non riconoscerà il predatore per quello che è e non lo controllerà. Quando le donne aprono la porta della loro esistenza ed esaminano la carneficina, per lo più scoprono di aver permesso l’assassinio dei loro sogni, dei loro obiettivi, delle loro speranze. Quando si fa questa scoperta nella propria psiche è certo che il predatore naturale ha lavorato alla distruzione dei più cari desideri di una donna.
L’odore del sangue. Il sangue rappresenta la decimazione degli aspetti più profondi e legati all’anima della vita creativa. In questo stato la donna perde l’energia per creare. Quando la chiave sanguinante - la domanda urlante- macchia i nostri personaggi, non possiamo più nascondere i nostri travagli. Non possiamo più far finta di non aver visto la stanza della morte. L’io censorio certamente desidera dimenticare di aver visto la stanza, di aver visto i cadaveri, la sposa cerca di pulire la chiave, ma non ci riesce. Quella che prima era un’ingenua deve ora affrontare l’accaduto. Il predatore è particolarmente aggressivo nel tendere imboscate alla natura selvaggia delle donne. Per questo le domande vanno poste e devono ricevere una risposta. Il lavoro più profondo di solito è il più buio, non abbiate quindi paura di indagare il peggio, solo così è garantito un aumento del potere dell’anima. La Donna Selvaggia non teme l’oscurità più oscura, gli avanzi, gli scarti, la rovina, il fetore, il sangue, le ossa fredde, le ragazze morenti o i mariti assassini. Può vedere, sopportare, aiutare. Gli scheletri nella stanza rappresentano la forza indistruttibile del femminino.
La giovane e le sue sorelle sono capaci di spezzare il vecchio modello di ignoranza e di contemplare un orrore senza volgere altrove lo sguardo. Barbablù uccide e demolisce una donna finche non ne restano che le ossa. Noi dobbiamo osservare la cosa mortale che si è impadronita di noi, vedere il risultato del suo lavoro, registrarlo consciamente e poi agire. Trovare i corpi, seguire gli istinti, vedere, smantellare l’energia distruttiva.
Nascondersi e spiare. Per sfuggire a un predatore l’anima si nasconde sotto terra e ogni tanto fa capolino per vedere se si allontana. In Barbablù la psiche cerca di non farsi uccidere. E’ diventata astuta, chiede tempo per rinforzarsi. Quando una donna comprende di essere stata preda, sia nel mondo esterno che in quello interno, non riesce a sopportarlo. Programma l’uccisione della forza predatoria. Il suo complesso predatorio si affanna nel tentativo di bloccare tutte le vie di fuga, diviene sanguinario. In questo tempo critico addormentarsi vuol dire morire. Bisogna invece spostarsi dallo stato di vittima a quello di persona acuta, vigile, attenta. A questo punto non si deve tremare, ne’ umiliarsi.
L’urlo. I fratelli psichici sono i propulsori più muscolosi della psiche, sono la forza che può agire quando è tempo di uccidere. La donna deve esercitarsi a richiamare la sua natura combattiva, il suo vortice di vento. Quando le donne riaffiorano dall’ingenuità, portano con sé qualcosa di inesplorato, in questo caso un’energia maschile interiore. Quando questa natura del sesso opposto è in buona salute ama la donna in cui alberga e la aiuta a compiere quello che lei chiede. Più l’animus è forte e vasto, maggiori saranno le capacità con cui la donna manifesterà le sue idee e il suo lavoro creativo nel mondo esterno in modo concreto.
I mangiatori di peccati. Il corpo di Barbablù viene lasciato ai mangiatori di carogne. Nei tempi antichi esistevano i mangiatori di peccati, che si assumevano i peccati, i rifiuti della comunità. Invece di insultare il predatore della psiche, o di sfuggirgli, lo smembriamo, catturiamo i pensieri irritanti prima che diventino troppo grandi da nuocerci e li smantelliamo, contrapponendogli le verità che ci alimentano. Riprendere l’energia dal predatore e trasformarla in altro.
Barbablu è un racconto di ingenuità psichica, ma anche della possente rottura dell’ingiunzione di “apparire”.
L’uomo nero. Il sogno dell’uomo nel buio. Nella storia di Barbablu si parla della trasformazione di quattro introiezioni vaghe e indistinte: non avere visione, non avere introspezione, non avere voce, non avere azione. Per bandire il predatore dobbiamo fare il contrario. Dobbiamo spalancare la porta per vedere cosa c’è dentro la stanza. Dobbiamo usare l’introspezione e la capacità di sopportare la visione. Dobbiamo enunciare con voce chiara la nostra verità ed essere capaci di fare quanto è necessario nei confronti di ciò che vediamo..Per l’ingenua e per la donna dall’istinto leso la cura è la stessa: esercitarsi ad ascoltare l’intuito, porsi domande, essere curiosa, vedere quel che si vede, ascoltare quel che si sente, e poi agire in base a ciò che si sa essere vero.Quando facciamo sogni con l’uomo nero, un potere contrario sta sempre appostato in attesa di aiutarci. La donna selvaggia, che insegna alle donne a non essere “carine” quando si tratta di proteggere la vita dell’anima. Essere “dolci” in questi casi fa solo sorridere il predatore. Quando la vita dell’anima è minacciata non soltanto è accettabile tirare una riga, è indispensabile.


Tratto da Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estés

Donne che corrono coi lupi



“…Quando facciamo valere l’intuito siamo come una notte stellata: fissiamo il mondo con migliaia di occhi…la natura selvaggia porta tutto ciò di cui una donna ha bisogno per essere e sapere. Porta il medicamento per tutto. Porta storie e sogni e parole e canzoni e segni e simboli. E’ al contempo veicolo e destinazione…Riunirsi a lei significa fissare il territorio, trovare il proprio branco, stare con sicurezza e orgoglio nel proprio corpo indipendentemente dai suoi doni e dai suoi limiti, parlare e agire per proprio conto, in prima persona, essere consapevoli, vigili, rifarsi ai poteri femminili innati dell’intuito e della percezione, riprendere i propri cicli, scoprire a cosa si appartiene, levarsi con dignità, conservare tutta la consapevolezza possibile…
Pertanto, che siate introverse o estroverse, donne amanti di donne o di uomini, o di Dio, o tutto insieme, che possediate un cuore semplice e le ambizioni di un’amazzone, che stiate cercando di arrivare in cima o soltanto a domani, che siate mordaci o tetre, regali o impetuose, la Donna Selvaggia vi appartiene. Appartiene a tutte le donne. Per trovarla, ognuno di noi deve tornare alla sua vita istintiva, alla sua più profonda sapienza…”


Da “Donne che corrono coi lupi” di Clarissa Pinkola Estès