lunedì 30 novembre 2009

La donna scheletro

Tratto da "Donne che corrono con i lupi"

< Aveva fatto qualcosa che suo padre aveva disapprovato, sebbene nessuno più rammentasse cosa. Il padre l'aveva trascinata sulla scogliera e gettata in mare. I pesci ne mangiarono la carne e le strapparono gli occhi. Sul fondo del mare, il suo scheletro era voltato e rivoltato dalle correnti.
Un giorno arrivò in quella baia, dove un tempo andavano in tanti, un pescatore. L'amo del pescatore scese nell'acqua e si impigliò nelle costole della Donna Scheletro. Pensò il pescatore: "Ne ho preso uno proprio grosso!" Intanto pensava a quanta gente quel grosso pesce avrebbe potuto nutrire, a quanto sarebbe durato, per quanto tempo avrebbe potuto restarsene a casa tranquillo. E mentre stava cercando di tirare su quel gran peso attaccato all'amo, il mare prese a ribollire, perché colei che stava sotto stava cercando di liberarsi. Ma più lottava e più restava impigliata. Inesorabilmente veniva trascinata verso la superficie, con le costole agganciate all'amo.Il pescatore si era girato per raccogliere la rete e non vide la testa calva affiorare dalle onde, non vide le piccole creature di corallo che guardavano dalle orbite del teschio, non vide i crostacei sui vecchi denti d'avorio.
Quando si volse, l'intero corpo era salito in superficie e pendeva dalla punta del kayak.
"Ah!", urlò l'uomo, e il cuore gli cadde fino alle ginocchia, gli occhi per il terrore si nascosero in fondo alla testa, e le orecchie diventarono rosso fuoco. La gettò giù dalla prua con il remo, e prese a remare come un demonio verso la riva. Non rendendosi conto che era aggrovigliata nella lenza, era sempre più terrorizzato perché essa pareva stare in piedi e seguirlo a riva. Per quanto andasse a zig zag restava lì dietro ritta in piedi e il suo respiro rovesciava sulle acque nuvole di vapore, e le braccia si lanciavano in acqua come per afferrarlo. Alla fine l'uomo raggiunse il suo igloo, si lanciò nella galleria, e a quattro zampe penetrò all'interno. Ansimando e singhiozzando giacque nell'oscurità, con il cuore che batteva come un tamburo. Finalmente al sicuro. Ma quando accese la lampada all'olio di balena, eccola, lei era lì, ed egli cadde sul pavimento di neve con un tallone sulla sua spalla, un piede sul suo gomito. Non seppe poi dire come fu, forse la luce del fuoco ne ammorbidiva i lineamenti, o forse perché era un uomo solo. Fatto sta che sentì nascere come un sentimento di tenerezza, e lentamente allungò le mani sudicie e prese a liberarla dalla lenza. "Ecco, ecco", prima liberò le dita dei piedi, poi le caviglie. E continuò nella notte, e la coprì di pellicce per tenerla al caldo. Cercò la pietra focaia e accese il fuoco. Lei non diceva una parola - non osava - perché altrimenti quel cacciatore l'avrebbe presa e gettata agli scogli.
All'uomo venne sonno, scivolò sotto le pelli e cominciò ben presto a sognare. Talvolta, durante il sonno, una lacrima scivola giù dall'occhio di chi sogna, quando c'è un sogno di tristezza o di struggimento. E questo accadde all'uomo. La Dona Scheletro vide la lacrima brillare nella luce del fuoco, e d'improvviso sentì un'immensa sete. Si trascinò accanto all'uomo addormentato e posò la bocca su quella lacrima. Quell'unica lacrima era come un fiume, e lei bevve e bevve finchè la sua sete di anni non fu placata.
Frugò nell'uomo addormentato e gli prese il cuore, il tamburo possente. Si mise a sedere e si mise a picchiare sui due lati del cuore. Mentre suonava si mise a cantare: "Carne, carne, carne!". E più cantava più si ricopriva di carne. Cantò per i capelli e per buoni occhi e per mani piene. Cantò la linea tra le gambe, e il seno, abbastanza grande da trovarvi calore, e tutte le cose di cui una donna ha bisogno. E poi cantò i vestiti, che si togliessero dal dormiente, e scivolò nel letto con lui, pelle a pelle.  Rimise il grande tamburo, il suo cuore, nel suo corpo, e così si risvegliarono stretti uno nelle braccia dell'altro, aggrovigliati dalla loro notte, in un altromondo, bello e duraturo.
Quelli che non rammentano il perché della sua cattiva sorte di un tempo, dicono che lei e il pescatore andarono via e furono ben nutriti dalle creature che lei aveva conosciuto nella sua esistenza sott'acqua.
Dicono che è vero e che è tutto quanto loro sanno.>

- La Donna Scheletro: di fronte alla Natura Vita/Morte/Vita dell'Amore.

I lupi sanno avere dei rapporti. Chiunque li osserverà, vedrà quanto profondamente sono tra loro legati. Le unioni tra maschio e femmina durano per lo più tutta la vita. Sebbene si scontrino ed esista il dissenso, i loro legami fanno sà che insieme attraversino duri inverni, generose primavere, lunghe marce, nuovi cuccioli, antichi predatori, danze tribali e canti di gruppo. I bisogni relazionali degli esseri umani non sono diversi. Mentre la vita istintuale dei lupi comprende la lealtà e legami di fiducia e devozione che durano tutta la vita, per gli esseri umani tutto ciò costituisce talvolta un problema. Se volessimo usare dei termini archetipi per descrivere quanto determina i forti legami tra i lupi, potremmo supporre che l'integrità dei loro rapporti deriva dalla loro sottomissione all'antica natura Vita/Morte/Vita...
A differenza degli esseri umani, i lupi non giudicano sorprendenti o punitivi gli alti e bassi della vita, l'energia, il potere, il cibo, l'occasione. Le cime e le valli semplicemente sono, e i lupi le percorrono con tutta l'efficienza e la fluidità possibile. La natura istintuale ha la miracolosa capacità di vivere i doni positivi e le conseguenze negative conservando sempre la relazione con sé e con gli altri.
La Donna Scheletro è una storia di caccia sull'amore. Nelle storie che vengono dal Nord l'amore non è un appuntamento romantico tra due innamorati. Le storie delle regioni circumpolari descrivono l'amore come un'unione di due esseri la cui forza fa che uno o entrambi entrino in comunicazione con il mondo-anima e partecipino al fato come fosse una danza con la vita e con la morte.
 Morte nella Casa dell'Amore.
L'incapacità di affrontare e sbrogliare la Donna Scheletro fa sì che molte relazioni amorose falliscano. Per amare bisogna essere non soltanto forti ma anche saggi. La forza viene dallo spirito. La saggezza viene dalla Donna Scheletro. Come vediamo nel racconto, se si desidera essere nutriti per tutta la vita, occorre affrontare e sviluppare una relazione con la natura Vita/Morte/Vita. Allora non inseguiamo più vaghe fantasie ma siamo resi saggi sulle morti o le nascite necessarie per creare una vera relazione. Affrontando la Donna Scheletro impariamo che la passione non è da “cercare” ma è generata in cicli e offerta. La Donna Scheletro dimostra che vivere insieme accrescimenti e decrescimenti, conclusioni e inizi, crea un amore impareggiabile fatto di devozione.
La storia è una bella metafora per il problema dell'amore moderno, la paura per la natura Vita/Morte/Vita, dell'aspetto Morte in particolare. Nella cultura occidentale, il carattere originario della natura Morte è stato ricoperto da vari dogmi e dottrine fino a distaccarsi dall'altra metà, Vita. Erroneamente siamo stati addestrati ad accettare una forma spezzata di uno degli aspetti più profondi e fondamentali della natura selvaggia. Ci hanno insegnato che la morte è sempre seguita ancora dalla morte. Non è cosà: la morte tiene sempre in incubazione una nuova vita, anche quando la propria esistenza è arrivata all'osso.

Le Prime Fasi dell'Amore.

"Il ritrovamento accidentale del tesoro".
Tutti i racconti contengono materiale che può essere considerato uno specchio che riflette i mali o il benessere della vita intima, come pure temi mistici che descrivono le fasi e le istruzioni per mantenere l'equilibrio nel mondo interiore come in quello esterno. Se nella storia della Donna Scheletro potremmo veder rappresentati i movimenti all'interno di una singola psiche, personalmente la trovo particolarmente preziosa se la si interpreta come una serie di sette compiti che insegnano a un'anima ad amarne un'altra bene e profondamente. Eccoli: la scoperta dell'altro come una sorta di tesoro spirituale, anche se a tutta prima si può anche non capire chi è l'altro che si va cercando. Poi, nella maggior parte delle relazioni amorose, la caccia e il nascondimento, l'epoca delle speranze e dei timori. Viene poi il momento del districamento e della comprensione degli aspetti di Vita/Morte/Vita della relazione e la compassione per il compito. Arriva poi la fiducia, la capacità di stare quieti in presenza dell'altro, e poi l'epoca in cui si condividono i sogni per il futuro e le passate malinconie, l'inizio della cicatrizzazione di ferite arcaiche dell'amore. E infine l'uso del cuore per cantare la vita nuova, e il mescolarsi di corpo e anima. Il primo compito, il ritrovamento del tesoro, compare in decine di racconti in tutto il mondo, in cui si descrive la cattura di una creatura dal fondo del mare. Allora sappiamo subito che si scatenerà presto la lotta tra ciò che vive nel mondo di sopra e quanto vive o è stato costretto a restare nel mondo di sotto. In questo racconto il pescatore trova molto più di quanto si sarebbe mai aspettato. Oh, è grosso, pensa, e si volta per prendere la rete. Non si rende conto di sollevare il tesoro più allarmante che gli sarà dato conoscere, più di quanto egli possa governare. Non sa di dover venire a patti, che tutti i suoi poteri saranno messi alla prova. Peggio ancora: non sa di non sapere. E' lo stato di tutti gli innamorati all'inizio: sono ciechi come pipistrelli.
Gli esseri umani ignari hanno la tendenza ad avvicinare l'amore come il pescatore la sua preda: “Spero sia grossa, capace di nutrirmi per un sacco di tempo, capace di eccitarmi e di facilitarmi la vita, di cui potermi vantare con tutti gli altri cacciatori tornando a casa”.
E' questa la naturale progressione del cacciatore ingenuo o famelico. I giovanissimi, i non iniziati, gli affamati e i feriti hanno valori che ruotano attorno al ritrovamento e alla vincita di trofei. I giovanissimi ancora non sanno che cosa vogliono, gli affamati cercano il sostentamento, e i feriti cercano conforto a precedenti perdite. A tutti “capiterà” un tesoro...
Talvolta anche gli innamorati all'inizio di una relazione cercano soltanto un po' di eccitazione, oppure un pizzico di sedativo del tipo “aiutami a superare la notte”. Senza rendersene conto, involontariamente entrano in una parte della psiche, propria e dell'altro, in cui risiede la Donna Scheletro. Mentre il loro io è magari in cerca di divertimento, questo spazio psichico è un terreno sacro per la Donna Scheletro. Se ci aggiriamo in
queste acque, per certo prima o poi la agganciamo.
Ho più volte osservato un fenomeno negli amanti, indipendentemente dal loro sesso. Accade qualcosa del genere: due persone iniziano la danza per vedere se va loro bene di amarsi. D'improvviso la Donna Scheletro viene accidentalmente presa all'amo. Qualcosa nella relazione comincia a decrescere e scivola nell'entropia. Spesso il doloroso piacere dell'eccitamento sessuale si indebolisce, oppure si vedono le parti fragili e lese dell'altro, o la sua inadeguatezza come trofeo, ed ecco allora che la vecchia ragazza calva e dai denti ingialliti affiora in superficie. Pare cosà raccapricciante, ma è la prima volta che si offre una vera opportunità di mostrare coraggio e conoscere l'amore. Amare significa stare con. Significa emergere da un mondo di fantasia in un mondo in cui è possibile un amore sostenibile a faccia a faccia, fatto di devozione. Amore significa restare quando ogni cellula dice: “scappa!”...
Nei miei venti anni di pratica, uomini e donne si sono rintanati sul mio divano dicendo con felice terrore: “Ho conosciuto uno... non ci pensavo, badavo agli affari mei. Neanche mi guardavo attorno, ed ecco che ti incontro quel Qualcuno con la "q" maiuscola. Ora che devo fare?” Mentre continuano a nutrire la nuova relazione, prendono a ritrarsi. Si contraggono, si preoccupano. Soffrono pene d'amore per colpa di quella persona? No. Hanno paura perché cominciano a intravedere un teschio calvo che emerge dietro alle onde della passione. Che fare? Dico loro che è un momento magico, ma non li tranquillizza gran che. Dico loro che ora vedremo qualcosa di meraviglioso, ma non ci credono molto. Li invito a resistere, e ci riescono, ma a fatica. Prima che io lo sappia, dal punto di vista dell'analisi, la barchetta della loro relazione amorosa diventa sempre più veloce. Si ferma a riva e in men che non si dica i due scappano rincorrendo la loro vita, e io come analista dietro, a cercare di metterci una parola. Al primo confronto con la Donna Scheletro quasi tutti provano l'impulso di volare via come il vento, ma il più lontano possibile. Anche la corsa rientra nel processo. E' semplicemente umano, ma la corsa non deve durare a lungo né per sempre.

"La Caccia e il Nascondimento".

La natura Morte ha la strana abitudine di emergere nelle storie d'amore proprio nel momento in cui pensiamo di aver vinto un amante, di aver preso “un pesce grosso”. Ecco quando affiora la natura Morte/Vita/Morte, e getta lo sgomento. Ecco dunque le maggiori contorsioni sul perché l'amore non può, non potrà “funzionare” per una delle parti interessate. Ecco dunque lo sforzo per diventare invisibili, non all'amante, ma alla Donna Scheletro. Ecco il perché di tanto correre e nascondersi. Ma non c'è nessun posto in cui nascondersi.
La psiche razionale va alla ricerca di qualcosa di profondo e non soltanto vi approda, ma si spaventa tanto da non poterne quasi sopportare la vista. Gli innamorati hanno la sensazione di essere inseguiti, e talvolta pensano che sia l'altro a inseguire. In realtà, è la Donna Scheletro. All'inizio, quando impariamo ad amare davvero, fraintendiamo molto. Pensiamo di essere inseguiti, mentre in realtà la nostra intenzione di metterci in relazione con un altro essere umano in un modo speciale è quel che aggancia la Donna Scheletro affinché non ci sfugga. Ovunque stia nascendo l'amore, sempre affiora la forza Vita/Morte/Vita. Sempre...
La fase della corsa e del nascondimento è il momento in cui gli amanti cercano di razionalizzare la loro paura dei cicli Vita/ Morte/Vita dell'amore. Dicono: “Può andare meglio con un altro”, oppure “Non voglio rinunciare a...” oppure “Non voglio cambiare la mia vita”, “Affrontare le mie o le altrui ferite”, “Non sono ancora pronta”, “Non voglio essere trasformata senza sapere prima di tutto i particolari di come apparirò/mi sentirò dopo”.E' un momento in cui i pensieri sono tutti mescolati alla rinfusa, e si cerca disperatamente un riparo, e il cuore batte, non perché si ama e si è amati, ma per vigliacca paura. Essere intrappolati da Signora Morte! Alcuni fanno l'errore di pensare di sfuggire a una relazione con l'amante. Non fuggono dall'amante o dalle pressioni della relazione: cercano di evitare la misteriosa forza Vita/Morte/Vita. La psicologia la diagnostica come “paura dell'intimità, paura dell'impegno”. Ma quelli sono soltanto sintomi. Il problema più profondo è la sfiducia. Dunque la Donna Morte insegue l'uomo attraverso le acque, attraverso i confini tra il territorio inconscio e il conscio della mente. La psiche conscia si fa consapevole di quanto ha preso e cerca disperatamente di superarlo. Nel corso dell'esistenza lo facciamo costantemente. Qualcosa di spaventoso alza la testa. Siamo disattenti e continuiamo a tirare, pensando si tratti di una qualche preda. E' un tesoro, ma non del tipo che ci immaginiamo. Sfortunatamente ci hanno insegnato ad averne paura. Cerchiamo allora di fuggire o di rigettarla, o di dolcificarlo e renderlo quel che non è. Ma non è questa l'opera da compiere. Alla fine, tutti dobbiamo baciare la strega. Lo stesso processo segue l'amore. Vogliamo solamente la bellezza e non vogliamo affrontare “il brutto”. Respingiamo la Donna Scheletro, ma lei va avanti. Corriamo. Lei ci segue. E' la grande maestra che avevamo detto di volere. “No, non questa maestra!” urliamo. Ne vogliamo una diversa. Peccato: è la maestra che tocca a tutti.
Secondo un detto: quando l'allievo è pronto, ecco che il maestro compare. Significa che il maestro arriva quando l'anima, non l'io, è pronta. Il maestro viene quando l'anima chiama - e per fortuna, perché l'io non è mai veramente pronto. Se dovessimo aspettare un io pronto perché il maestro venga a noi, resteremmo per tutta la vita senza maestri. Siamo fortunati, poiché l'anima continua a trasmettere il suo desiderio indipendentemente dalle opinioni sempre mutevoli del nostro io...
Vediamo nel racconto che il dono del corpo è uno degli ultimi nella fasi dell'amore, così come dev'essere. E' bene dominare le prime fasi dell'incontro con la natura Vita/Morte/Vita e lasciare che le esperienze corpo-a-corpo vengano dopo. Attenzione, donne: non accettate l'amante che subito vuole il corpo. Insistete perché tutte le fasi si sviluppino. Il tempo della conoscenza carnale verrà da solo, al momento giusto. Quando l'unione comincia con quella dei corpi, si può seguire dopo il processo di affrontare la natura Vita/Morte/Vita... ma richiede molta maggior decisione. E' un lavoro più difficile perché l'io-piacere dev'essere separato a forza dall'interesse carnale, in modo da poter eseguire l'opera di fondazione. Far l'amore è dunque mescolare respiro e carne, spirito e materia. In questo racconto si accoppiano il mortale e l'immortale, e questo vale per una relazione amorosa duratura. In un bellissimo racconto indiano, un mortale suona il tamburo affinché le fate possano danzare davanti alla dea Indra. Per questo favore sarà ricompensato: una fata gli verrà data in sposa. Qualcosa di simile accade nella relazione amorosa: riceverà un premio l'uomo che si porrà in un rapporto di collaborazione con il regno psichico femminile per lui misterioso. Alla fine della storia, il pescatore è respiro nel respiro, pelle contro pelle con la natura Vita/Morte/Vita. Ciò ha un significato diverso per ogni uomo, e unica è pure l'esperienza dell'approfondirsi della relazione. Sappiamo soltanto che per amare dobbiamo baciare la strega, e altro ancora: dobbiamo far l'amore con lei.
Come in questa storia dovrebbe svilupparsi la relazione amorosa: ogni partner dovrebbe trasformare l'altro. La forza e il potere di ognuno vengono liberati e spartiti. Lui dona il cuore-tamburo, lei la sua conoscenza dei ritmi e delle emozioni più complessi che si possano immaginare. Chissà che cosa cacceranno insieme... Sappiamo solamente che saranno nutriti fino alla fine dei loro giorni.

mercoledì 11 novembre 2009

LA PAURA DI VIVERE

Mi è spesso capitato di guardare gli altri e dire tra me e me che non sappiamo vivere, sempre in  corsa , fare e rifare, fare, fare. "Cosa devo fare?" " Avrò fatto abbastanza?"
Come mai abbiamo tutti questa ansia, sempre preoccupati di non aver fatto abbastanza.
Solo a pensare ai nostri primi momenti di vita inizia a delinearsi un' abbozzo del quadro :
Dopo 9 mesi di vita passati tranquillamente solo a mangiare, dormire, muoversi un po', un giorno ti trovi buttato fuori tra grida, luci forti, persone estranee che ti prendono e ti portano a pesare, lavare... e chissà dopo quanto tempo il primo incontro con la madre. Una madre non sempre contenta, spesso confusa , dolorante, provata, impaurita...
Poi a seconda degli impegni dei genitori i primi anni di "educazione forzata" che può iniziare sin dai primi mesi di vita all'asilo nido, o più tardi all'asilo, poi le scuole...
E tutti a dirti cosa devi fare , cosa non devi fare che ci prendi l'abitudine e quando un giorno ti dicono che ormai sei abbastanza grande da prendere le tue decisioni, tu ti ritrovi che non sei abituato a decidere per te stesso e allora cerchi modelli, qualche traccia da seguire...
A scuola i professori non te lo dicono, ma quello che più ti servirà come riferimento sarà il loro atteggiamento, il loro modo di essere e di proporsi, non le nozioni imposte...

Poi scegli una professione. Tante volte quella verso la quale ti hanno indirizzato i genitori ed i professori. Fai come tutti gli altri: una casa, un lavoro, parenti, amici, hobby, vacanze, viaggi,  libri...
E magari un giorno nonostante tutto sembri vada bene tu ti senti scontento, e inizi a farti delle domande...
Cosa c'è che non va? Cosa vuol dire vivere? Per cosa vivo? C'è qualcosa dopo? C'è un senso in tutto questo?
Delle volte ci pensi di più, altre volte fai di tutto per dimenticarti queste domande. Perché la vita tante volte ti sembra una cosa troppo grande, una lotta continua e qualche volta non senti più il minimo gusto di vivere, vorresti che tutto finisse per trovare la pace...
E magari un giorno qualcuno ti dice che non devi fare niente, devi solo ESSERE, o qualcun altro ti dice che il tuo problema è la paura di vivere. E te rimani contrariato. Come non devo fare niente?! Cosa vuol dire paura di vivere?! Non sto forse vivendo?!
Cosa vuol dire essere? Cosa vuol dire vivere?
Non è facile rispondere e generalmente una vita non basta per scoprirlo.
Ma posso iniziare col dire qualcosa di quello che ho già ,che mi succede, che mi vive...
Le mie paure? La mia paura più grande? E'(era?) quella dell'abbandono.
Quando avevo 3 anni i miei genitori hanno deciso qualle fosse la migliore cosa per me e senza spiegarmi niente mio padre mi ha portata al mare per un mese( dicono che l'aria del mare faccia bene),  in una colonia estiva. Poi ha detto che stava andando a comprarmi una bella bambola e che sarebbe tornato presto... Ed io lì a guardare dalla finestra, ogni giorno, tutti i giorni...
Capita anche adesso che ogni tanto in giorni di pioggia mi metta davanti alla finestra e guardare... come se aspettassi qualcosa...
E per la paura in seguito non ho fatto molte amicizie e comunque ho sempre mantenuto una certa distanza, i ragazzi che ho avuto erano lì perché avevano insistito e ogni tanto magari mi sentivo anche un po' meno sola... Ed ero sempre io a lasciare, tanto avevo avvertito, niente coinvolgimento...In questo modo non si rischiava la sofferenza, capitava mai che decideva qualcun altro ad andarsene, tanto chi se ne frega, chi ti conosce?
Per poi scoprire un giorno che sì, ero stata abbastanza brava a schivare gli altri, a mantenere la distanza, ma come mai la sofferenza mi aveva trovata lo stesso? Nonostante avessi barricato il portone soffrivo lo stesso.
La sofferenza era entrata proprio da quel punto ancora pulsante. Quella sofferenza tagliava in carne viva, ma mi diceva che non ero ancora morta. Allora mi sono resa conto che da sola mi ero messa in una gabbia, per la paura, e provando a nascondermi alla sofferenza, mi stavo rifiutando di vivere...
Mi rendevo conto che solo guardando in faccia le paure si può tornare a vivere. E quando inizi a guardare, la paura si fa sempre piu piccola e allora si crea lo spazio pure per altro, per la vita, per esempio...

E man mano che mi aprivo alla vita, nuove situazioni, nuove persone mi venivano incontro. Ed io ho iniziato a vedere un senso a tutto quanto, mi stavo rispecchiando, mi stavo rinnovando.
E poi sentire... SENTIRE... Sempre di più , sempre meglio...
E poi CAPIRE che la vita è una scuola dove la sofferenza fa da maestra ( elementari e medie) per poi alle superiori venirti incontro la GIOIA e  l'AMORE..

Pian piano mi sto riprendendo la mia vita... Sto tornando a vivere...
Respiro...

Alina

sabato 7 novembre 2009

L'ALTRO

Non so per quale associazione di idee oggi mi sono ricordata qualcosa:
Quando avevo sui 16 anni, avevo l'abitudine di leggere una rivista che mi piaceva molto. Conteneva vari articoli sulle ultime scoperte scientifiche, natura, rimedi naturali, curiosità della natura ecc... E un giorno ho notato una rubrica riservata a chi amava corrispondere. Così mi sono decisa ed ho mandato pure io un mio annuncio, dimenticando però di scrivere la mia età.
In seguito ho ricevuto tante lettere, più o meno di ragazzi e ragazze della mia età. L'ultima lettera è stata di un ragazzo sui 24 anni, ma un po' perché mi sembrava grande per me, un po' perché avevo già abbastanza corrispondenti e perché la lettera arrivava ultima e dopo tanto tempo dall'annuncio, l'ho passata a mia sorella più grande e poco tempo dopo quei due si sposavano...
Tra tutte quelle lettere un giorno ho ricevuto la lettera di un carcerato. Una lettera che mi ha molto sorpresa. Fino allora per me i carcerati erano tutto cattivi, tutta gente da evitare e disprezzare. Quella volta ricevevo una lettera lunghissima, scritta su vari tipi di fogli ( che si era fatto prestare da chi ne aveva), una lettera che mi lasciava stupita. Raccontava la vita di un uomo e ricordo ancora una sua frase con la quale mi diceva che avevo dimenticato di specificare l'età, ma che io fossi una ragazzina o una vecchietta, sperava tanto che io gli rispondessi.
Io mi sentivo a disagio rispondere a qualcuno sui 40 anni, poi mia madre si è pure opposta con decisione (poverina aveva fatto pure un brutto sogno a riguardo - ma quello perché un po' paranoica, tanto lavorava nella polizia in tempi comunisti...)
E così non ho risposto. Ma mi capita certe volte di ricordarmi quella lettera e di sentirmi in colpa...
Quella lettera era una richiesta di aiuto, era il desiderio di un essere umano di parlare ad un altro, di essere ascoltato e compreso...
Quella persona mi ricordava pure un mio ex collega con cui ho fatto le elementari e le medie. Da piccola mi incuriosiva. Io vedevo che era spesso rimpoverato perché monello, ma mi rendevo conto che quello era un suo modo di essere, molto curioso, molto intelligente, senza malizia e molto vivace...Una volta ricordo che il maestro l'ha messo nel banco accanto a me, perché io la più tranquilla e lui troppo irrequieto. E quell'ora io mi sono divertita un sacco per tutte quelle cose che si inventava per farsi passare meglio il tempo...
I professori lo punivano spesso, ai miei tempi picchiavano anche...Più tardi i suoi genitori divorziavano e anni dopo sentivo da mia madre che l'aveva visto in polizia, era indagato...
Io fino a poco tempo fa non pensavo molto a queste cose. Sono stata piuttosto egoista nel disagio dei miei rapporti difficili con gli altri...
Anni dopo, mi vengono i rimorsi. Mi sento responsabile per un bene che avrei potuto provare a fare, ma non ho fatto.
Io sempre sulle mie, a pensare solo ai miei dispiaceri, che mi aspettavo sempre tanto dagli altri e che pensavo di comportarmi come meglio credevo...
Oggi mi rendo conto che tante volte avrei potuto fare di più. Di più per gli altri...
Di più per me stessa...

Alina