domenica 21 novembre 2010

Abbraccio

Con un tocco vorrei chiamarti,
In un abbraccio trattenerti
per poi restituirti a te stessa (anima)!

Nel ritmo di una musica dimenticata
Dentro nuovi sapori e colori respirare
E poi su ali di gioia
Nella meraviglia di un vuoto pieno
Volare!

domenica 5 settembre 2010

Inizi

Se la vita è fatta di alti e bassi e se per avere il nuovo bisogna superare le tattiche, allora per continuare la mia crescita avrei bisogno di un’altra buona strategia.
Ogni incontro shiatsu è la continuazione di un cammino, così parlare dell’ultimo incontro altro non è che aggiungere frasi ad un racconto iniziato tempo fa…
Ricordo il giorno in cui sono andata a Palermo per iscrivermi al corso di shiatsu. Non conoscevo Palermo e per trovare il posto, prima mi sono guardata bene la mappa della città. Curioso, seguire la mappa di una città per poi scoprire che da lì iniziava la mappatura di una vita…
Dev’essere che ero troppo disperata per decidere io, che mi ero accontentata fino ad allora di solo tattiche di sopravvivenza, di rischiare un’altra delusione. Così ho dovuto superare il conosciuto più o meno rassicurante, per la possibilità del nuovo. Era una strategia, ma non lo sapevo.
Volevo solo uscire dal conosciuto che era diventato troppo scontato e limitante.
E grande è stata la meraviglia di vedere venire a galla risposte a domande dimenticate, la sorpresa di scoprire nello shiatsu una via verso quello che in me si era assopito.
Istruttivo e sorprendente sentir parlare di punti di riferimento, smontare i meccanismi del dare per scontato e degli automatismi.
Stimolante ma anche terribile vedersi messo sempre di fronte ai propri limiti.
Gratificante iniziare ad intuire un senso dietro le esperienze, rendersi conto che nozioni teoriche come punti yu e bo, modelli culturali, mappature di meridiani yin e yang trovano un posto già scolpito in precedenza tramite i katà e negli incontri con altri corpi, altri vissuti.
Bello lo shiatsu che parla ad una parte più o meno dormiente dentro di noi, che parla la lingua di tutti, che racconta di vita ed in mezzo al relativismo fa intuire anche le costanti!
Meraviglioso camminare verso la parte selvaggia dentro di noi, quella che non si farà mai addomesticare per accettare regole e convinzioni distruttive, la fata dentro di noi che ci può prendere per mano e condurre verso il regno della Possibilità.

Alina

Nuovi sensi

- In doppio senso, ma più in un senso-

Per me l’italiano è una lingua acquisita da grande. Da bambina non conoscevo l’italiano, ma capitava di sentire delle canzoni italiane e qualche parola per assomiglianza la capivo. Ricordo quella canzone di Cutugno che diceva: " Lasciatemi cantare...". Per queste due parole, beh ci potevo arrivare, ma il seguito, nel ritornello, con la chitarra in mano, mi risultava assai più complicato, e dopo averci pensato un po’ mi sono decisa che si trattava di una sola parola, e per non aver sentito bene e molto spesso la canzone ho concluso che la chitarra in mano era un caraimano. Cantato veniva: caraimanooooo, na, na…
Poi negli anni, seguendo i canali televisivi italiani ho iniziato a capire sempre di più e così il caraimano ridiventava "chitarra in mano", "non mancate" che prima mi sembrava non mangiate ridiventava essere presenti, "ora" non era più solo un ora e così via. Le parole sentite avevano un nuovo senso e le pause si mettevano al momento e nel posto giusto .
Ripenso ai miei primi tempi nello shiatsu. All’inizio ci hanno proposto un kata, cioè una sequenza di movimenti da ripetere sempre nello stesso ordine. Dopo un po’ un secondo, e dopo ancora un terzo kata.
Ce li hanno dati dicendoci, provate, provate e riprovate e poi scoprirete da soli di cosa si tratta.
E così ho fatto. Il più spesso possibile, provato, provato, riprovato. E sofferto mal di schiena, male ai piedi, alle caviglie, alle gambe, al collo…
E pianto e poi riso e poi di nuovo pianto… E sono fuggita e poi tornata…
Ed eccomi qua, a ricordare e a consapevolizzare che quello che prima era solo una sequenza di movimenti, col tempo è diventato qualcos’altro…
In realtà la sequenza non si è mossa è rimasta tale e quale, a muovermi sono stata io.
Col tempo , con la pratica, quello che prima eseguivo in un modo tutto attaccato, adesso ha nuove pause, se prima seguivo un mio ritmo adesso provo a seguire quello più adatto e quello che prima non mi diceva niente adesso ha un senso.
O quello che mi sembrava significasse una cosa si è rivelata essere completamente un’altra.
Quindi nuove sensazioni e un nuovo senso.
Hai detto un nuovo senso? Ma in che senso?
;-)

Alina

Viaggio nello shiatsu

Un po' di tempo fa...
Un corso di shiatsu. Pensando di trovare una cosa che riguardava il pensiero orientale, i meridiani, rimedi per disfunzioni, per poi un giorno scoprire con meraviglia di aver trovato, sì, tutto questo, ma ancora molto di più…

Così io, un giorno d’inverno mi sono trovata tra sconosciuti a voler apprendere di una cosa sconosciuta. Mi sentivo sofferente di una cosa non definita, ma anche travolta più che mai dal desiderio di un “ non so cosa”…
Una situazione si vede meglio se si riesce a mettersi un po’ da parte, ad uscire un pochino da essa per poter osservarla meglio. O addirittura andando per tappe uscire quasi completamente da essa passando ad una fase successiva.
E così si parla di un prima e un dopo che poi sono sempre molto legati e si mandano continuamente richiami.
Quindi , nei miei primi tempi shiatsu ero sofferente, ma non sapevo o non osavo a dirlo. E un giorno mi sono scoperta ancora più dolente di prima e allora ho provato a fuggire . Ma ho fatto anche un viaggio , nel vero senso della parola e d’improvviso mi sono trovata a parlare diversamente, a guardare e fare richieste in modi più o meno insoliti.
Poi dopo qualche mese tornata e pronta a continuare l'altro viaggio, quello che spero mi accompagnerà per tutta la vita, lo shiatu.
E man mano che vado avanti nella scoperta dello shiatsu (e della vita), nuove persone, occasioni e nuovi punti di vista mi vengono incontro. Ed io mi ritrovo ogni giorno più stupita (ma è proprio vero!) e gli accaduti del passato iniziano a prendere contorno e più forte è la mia convinzione, più facilmente le vecchie paure ed i vecchi ostacoli si sciolgono rendendomi sempre più libera, sempre più forte.
E’ chiaro, non si può parlare dello shiatsu senza parlare della propria vita, perché lo shiatsu non è un sentiero parallelo, ma un cammino che s’intreccia continuamente con il vissuto di chi lo vuole vivere, respirare in ogni momento della sua esistenza.

Superfluo:
Sono un fiume, debole ai suoi inizi, stordito dagli ostacoli, ma che una volta ingrandito e cosciente dei suoi argini non si fa più fermare.
Sono una bilancia squilibrata da pesi sbagliati, ma che mani abili aiutano a farsi aggiustare.
Sono una barca in mezzo ad un mare agitato, circondata dalla nebbia, ma che un giorno più nero che mai ha intravvisto la luce lontana di un faro. E adesso la barca , attenta ai venti, al rumore e alle mosse delle onde impara a seguire le luci con la speranza di trovare un giorno mari più calmi e sole a posto della nebbia.
Speriamo buon vento!

Alina

Ritmi

Lo shiatsu mi insegna che ogni persona ha un suo ritmo.
C'è chi ha un ritmo alto, c'è il ritmo medio-alto, il ritmo lento...
Una piccola riflessione sui due ritmi opposti (complementari), il ritmo lento e quello veloce.
Un ritmo lento vuol dire una persona pacata, che fa le cose con calma, non ama la fretta e la confusione. Questa persona tende ad avere una vita interiore più complessa ma spesso va in accumulo di pensieri, desideri, fantasie... Mentre una persona con un ritmo veloce che fa salti acrobatici tra le varie situazioni della vita non ha tanto tempo per riflettere e ha la possibilità di smaltire in fretta i residui di pensieri.
E allora la persona che accumula , capita che ad un certo punto, ad un minimo eco, scarichi tutto l'ammasso come una valanga...
Il ritmo lento è spesso presente a se stesso e a quello che lo circonda, il ritmo veloce si fa trascinare dagli eventi ed è per lo più assente, è lui stesso vissuto senza viversi molto...
Ma esiste un ritmo ideale?
Esiste una tendenza evolutiva?
Forse c'è una tendenza , o almeno una meta di molti verso un ritmo lento, ma senza accumulo.
I grandi maestri dell'umanità insegnano che si deve raggiungere uno stato di pace interiore, senza desiderare, senza attacarsi a nulla.
L'occidentale incontra una grande difficoltà a capire il concetto. Cosa vuol dire non avere più desideri? Mica siamo morti...
Posso pensare ad uno stato intenso di concentrazione...
Un chirurgo che opera, un' artificiere che disinnesca una bomba, un alpinista su un tratto pericoloso della montagna. Sono situazioni molto delicate in cui ci vuole una salda concentrazione, non ci si può permettere la minima distrazione, né alcun pensiero superfluo.
E allora mi viene da pensare che vivere nel presente, nel qui e adesso voglia dire proprio questo. Vivere sempre uno stato intenso di presenza, senza pensieri di cosa non c'è, senza preoccupazioni, senza fantasticare...
Più o meno...

Alina

lunedì 14 giugno 2010

" La piccola fiammiferaia"

Clarissa Pinkola Estes:
"L'allontanamento della Fantasia Creativa. La bambina vive tra persone che non si curano di lei. Se per caso vi trovate in un ambiente del genere, abbandonatelo. La bambina è in un ambiente in cui quello che ha, dei piccoli fiammiferi di legno - l'inizio di qualsiasi possibilità creativa - non viene apprezzato. Se vi trovate in una condizione simile, voltate le spalle e allontanatevi. La bambina è in una situazione psichica che le consente poche scelte. Si è rassegnata al suo posto nella vita. Se è accaduto anche a voi, lasciate cadere la rassegnazione e scalciate.
Quando la Donna Selvaggia è messa con le spalle al muro, non si arrende: si butta, graffia e lotta.
Che cosa deve fare la Piccola Fiammiferaia? Se i suoi istinti fossero intatti, avrebbe parecchie scelte. Andare in un altro paese, infilarsi in un carro, rintanarsi in uno scantinato pieno di carbone. La Donna Selvaggia saprebbe che fare. Ma la Piccola Fiammiferaia non conosce più la Donna Selvaggia. La bambina selvaggia si congela, di lei resta una persona che va in trance.
Stare insieme a persone vere che ci riscaldano, che approvano ed esaltano la nostra creatività, è essenziale al flusso della vita creativa. Altrimenti ci congeliamo. Il nutrimento è un coro di voci, dal di dentro e dall'esterno, che nota lo stato in cui si trova una donna, si preoccupa di incoraggiarlo e, se necessario, di offrire conforto. Non so bene di quanti amici abbiamo bisogno, ma senz'altro di uno o due che ritengano il nostro dono, qualunque esso sia, "pan de cielo", pane degli angeli. Tutte le donne hanno diritto a un coro di alleluja.
Quando sono fuori al freddo, le donne tendono a vivere di fantasia invece che di azione.
La fantasia diventa un forte anestetico. Conosco donne dotate di splendida voce, donne che sono cantastorie nate, ma che sono isolate, o si sentono in qualche modo non autorizzate. Sono timide, e la timidezza spesso ricopre l'animo che muore di fame. Hanno difficoltà a sentire di essere sostenute dal di dentro, o dagli amici, dalla famiglia, dalla comunità.
Per evitare di essere come la Piccola Fiammiferaia, dovete intraprendere un'azione molto importante. Chiunque non sostenga la vostra arte, la vostra vita, non merita il vostro tempo. Duro ma vero. Altrimenti si vestono gli stracci della Piccola Fiammiferaia e si è costrette a vivere una vita assai parziale che congela i pensieri, la speranza, i doni, lo scrivere, il suonare, il disegnare, il danzare.
Il calore dovrebbe essere l'obiettivo principale della Piccola Fiammiferaia. Lei invece cerca di vendere i fiammiferi, la sua fonte di calore. Lascia cosà il femminino senza calore, senza ricchezze, senza saggezza, senza possibilità di ulteriore sviluppo.
Il calore è un mistero. Ci genera e ci cura. Scioglie cose troppo strette, ravviva il flusso, il misterioso bisogno di essere, il puro volo delle idee nuove.
La Piccola Fiammiferaia non si trova in un ambiente in cui può fiorire. Non c'è calore, né affetto né legna da ardere. Se fossimo al suo posto, che potremmo fare? Innanzi tutto non concepire il mondo fantastico che la Piccola Fiammiferaia crea accendendo i fiammiferi.
Esistono tre tipi di fantasia. Il primo è fonte di piacere, una sorta di gelato per la mente, come i sogni a occhi aperti. Il secondo è l'immaginazione intenzionale. Questa fantasia è come una seduta in cui si pianificano le cose, è come un veicolo che ci porta all'azione.
Tutti i successi - psicologici, spirituali, finanziari e creativi - cominciano con fantasie di questa natura. Il terzo tipo di fantasie è quello che porta tutto a uno stop, che ostacola la giusta azione nei momenti critici.
Purtroppo, queste sono le fantasie che la Piccola Fiammiferaia tesse. Fantasie che nulla hanno a che fare con la realtà, e implicano che nulla si può fare, se non buttarsi nella fantasia oziosa. Talvolta la fantasia è nella mente, talvolta arriva da una bottiglia di liquore, o da un ago per cucire, dall'erba, da tante stanze da dimenticare, complete di letto e occupate. In queste situazioni le donne fanno le piccole fiammiferaie in ogni loro notte di fantasie, e si risvegliano morte e gelate all'alba.
Come capovolgere la situazione e restaurare la stima dell'anima e la stima in sé?
Dobbiamo trovare una soluzione molto diversa da quella della Piccola Fiammiferaia.
Dobbiamo portare le nostre idee in un posto in cui trovino sostegno. E' un passo importantissimo: insieme al fuoco, trovare nutrimento. Rarissime sono le donne in grado di creare raccogliendo soltanto le proprie forze. Abbiamo bisogno dei colpetti d'ala di tutti gli angeli che riusciamo a trovare.
Assai spesso le persone hanno idee bellissime: pitturerò la parete del colore che mi piace; creerò un progetto che coinvolgerà tutta la città; farò delle mattonelle per il mio bagno, e se davvero mi piaceranno, ne venderò alcune; tornerò a scuola, venderò la casa e mi metterò a viaggiare, avrò un bambino, chiuderò con questo e comincerò con quello, andrò per la mia strada, aiuterò a raddrizzare quell'ingiustizia, proteggerò i deboli.
Progetti come questi vanno alimentati. Hanno bisogno di un sostegno vitale - da persone "calde". La Piccola Fiammiferaia è vestita di stracci, da tanto tempo ormai che la cosa le sembra normale. Nessuno potrebbe fiorire al punto in cui si trova. Noi vogliamo porci in una situazione in cui, come le piante e gli alberi, possiamo volgerci verso il sole. Ma il sole dev'esserci. Qui dobbiamo "muoverci", e non restare là sedute. Dobbiamo fare qualcosa per trasformare la nostra situazione. Altrimenti, ci ritroveremo in strada a vendere di nuovo fiammiferi.
Gli amici che vi amano e appoggiano calorosamente la vostra vita creativa sono il miglior sole del mondo. Se una donna, come la Piccola Fiammiferaia, non ha amici, si congela per l'angoscia e talvolta anche per la collera. E se ne ha, non sempre sono un sole.
Magari le offrono conforto invece di aprirle gli occhi sulla situazione sempre più congelata in cui si trova. Il conforto è cosa diversa dal nutrimento. Se portate una pianta fuori, al sole, le date da bere, e poi le parlate, questo è nutrimento. La donna congelata priva di nutrimento tende a elaborare continui sogni a occhi aperti, sul “come sarebbe se”. Ma anche se è in questo congelamento, specialmente se si trova in una siffatta condizione, deve rifiutare la fantasia confortevole. E' una fantasia che uccide.
Sapete bene come vanno le fantasie letali: “Un giorno...” e “Se solo avessi...” e “Lui cambierà...” e “Se solo imparassi a controllarmi... quando sarò davvero pronta, quando avrò X.Y.Z, quando i bambini saranno grandi, quando mi sentirò più sicura, quando troverò un altro, non appena...” e cosà di seguito.
La Piccola Fiammiferaia ha una nonna interiore che, invece di urlarle: “Svegliati! Alzati!
Cerca il caldo a tutti i costi!” la trascina nella vita della fantasia, la porta in paradiso. Ma in questa situazione il paradiso non aiuta la Donna Selvaggia, la piccola selvaggia in trappola, o la Piccola Fiammiferaia. Queste fantasie confortevoli non devono essere accese. Sono distrazioni seducenti, e letali, dalla realtà. Vediamo la Piccola Fiammiferaia dedicarsi a un commercio insensato, poiché vende l'unica cosa che potrebbe tenerla al caldo. Quando le donne sono distaccate dall'amore capace di alimentare della madre selvaggia, seguono l'equivalente di una dieta per la sopravvivenza. L'io tira avanti con lo scarsissimo alimento che trova fuori, e ogni notte lei ricomincia da dove ha cominciato. E poi dorme, esausta. Non può risvegliarsi a una vita con un futuro perché la sua esistenza miserabile è come un uncino da cui quotidianamente pende. Nelle iniziazioni, passare un periodo di tempo in condizioni difficili fa parte di uno smembramento dall'agio e dalla compiacenza. Quale passaggio iniziatico, arriverà a una conclusione, e la donna “smerigliata” comincerà una vita creativa e spirituale rinnovata e resa più saggia. Si direbbe invece che alle donne nella situazione della Piccola Fiammiferaia l'iniziazione è andata storta. Le condizioni ostili non servono per approfondire ma per decimare. Occorre scegliere un'altra sede, un altro ambiente, con sostegni e guide diversi.
Storicamente, e in particolare nella psicologia maschile, malattia, esilio e sofferenza sono spesso intesi come uno smembramento iniziatico, gravido talvolta di significato. Ma per le donne ci sono altri archetipi di iniziazione che nascono dalla psicologia innata e dalla fisicità femminile: uno è dare la vita, l'altro il potere del sangue, cosà come essere innamorate o ricevere un amore che alimenta e nutre. Ricevere la benedizione da una persona cui si guarda, essere istruite in un modo profondo e che offre sostegno da una persona più anziana, queste sono iniziazioni intense, e che hanno le loro tensioni e le loro resurrezioni.
Si direbbe che la Piccola Fiammiferaia molto si è avvicinata, e molto è rimasta lontana dalla fase di transizione del movimento e dell'azione che avrebbe completato l'iniziazione. Se pure possedesse il materiale per un'esperienza iniziatica nella sua povera vita, non c'è nessuno, dentro o fuori, a guidare il processo psichico.
Psichicamente, nel senso più negativo, l'inverno porta il bacio della morte - cioè il freddo - a tutto ciò che sfiorisce. La freddezza suona la fine di ogni relazione. Per uccidere una cosa, basta mostrarsi freddi nei suoi confronti. Non appena si diventa gelidi nel sentimento, nel pensiero o nell'azione, la relazione diventa impossibile. Quando gli esseri umani vogliono abbandonare qualcosa che hanno dentro o lasciare qualcuno fuori al freddo, ignorano, abbandonano, se ne sbarazzano, e si allontanano per non udirne neanche la voce, per non sfiorare neanche con lo Sguardo. Questa è la situazione nella psiche della Piccola Fiammiferaia. La Piccola Fiammiferaia vaga per le strade e prega i passanti di comprarle i fiammiferi. La scena mostra una delle cose più sconcertanti sull'istinto danneggiato delle donne: l'offerta della luce a poco prezzo. Qui le piccole luci dei fiammiferi sono come le più grandi luci degli scheletri sui bastoni nella storia di Vassilissa. Rappresentano la saggezza e, cosa ancor più importante, accendono la consapevolezza, sostituendo all'oscurità la luce, riaccendendo quanto era ridotto in cenere. Il fuoco è il simbolo più importante del rivivificatore della psiche.
Qui abbiamo una Piccola Fiammiferaia bisognosa, che offre una cosa di grandissimo valore - una luce - contro una modestissima - un penny. Se “questo valore dato in cambio di poco” sta nella nostra psiche, o è esperito da noi nel mondo esterno, i risultato è il medesimo: ulteriore perdita di energia. Allora una donna non può più soddisfare le proprie necessità. Qualcosa che vuol vivere prega, ma non è ascoltato. Abbiamo qui una persona che, come Sofia, lo spirito greco della saggezza, porta la luce dall'abisso, ma lo svende in inutili fantasie. Cattivi amanti, capi scorretti, situazioni di sfruttamento, scaltri complessi di ogni sorta tentano la donna a fare queste scelte. Quando la Piccola Fiammiferaia decide di accendere i fiammiferi, usa le sue risorse per fantasticare invece che per agire. Usa la sua energia per qualcosa di effimero. Ciò si manifesta in modi ovvi nell'esistenza femminile. Una è decisa a frequentare l'università,
ma impiega tre anni per decidere la facoltà. Un'altra vuole dipingere una serie di quadri, ma siccome non ha un posto in cui appenderli, la pittura non è più prioritaria. Vuole far questo o quello, ma non si concede il tempo per apprendere, per sviluppare la sensibilità o l'abilità per farlo bene. Ha quaderni pieni di sogni, ma, affascinata dalla loro interpretazione, non si preoccupa di trasformare in azione il loro significato. Sa di dover partire, iniziare, smettere, andare, ma non ne fa nulla.
E vediamo dunque perché. Quando una donna non riesce più a sentirsi, quando il sangue, la passione non raggiunge più le estremità della psiche, quando è disperata, allora una vita fantastica è molto più piacevole di qualsiasi cosa su cui possa posare lo sguardo. Le piccole luci dei fiammiferi, poiché non hanno legna da ardere, riducono la psiche in cenere come fosse un bel ciocco secco. La psiche prende a giocarsi dei brutti tiri da sola: vive nel fuoco fantastico dei desideri tutti soddisfatti. Questo fantasticare è come una bugia: se la ripeterete, finirete per crederci.
Questa sorta di angoscia di conversione, in cui problemi o questioni sono rimpiccioliti dal fantasticare con enorme entusiasmo soluzioni irrealizzabili o tempi migliori, non soltanto aggredisce le donne, ma è il principale scoglio per tutta l'umanità. La stufa nella fantasia della Piccola Fiammiferaia rappresenta i pensieri pieni di calore. E' anche simbolo del centro, del cuore, della terra. Ci dice che la sua fantasia è per il vero io, il cuore della psiche, il calore di una casa dentro.
Ma d'improvviso la stufa svanisce. La Piccola Fiammiferaia, come tutte le donne in questa difficile situazione psichica, si ritrova seduta nella neve. Dunque questo tipo di fantasia èeffimero e distruttivo. Non può bruciare altro che la nostra energia. Anche se una donna usa le sue fantasie per tenersi al caldo, continua ad avvolgersi nel grande gelo. La Piccola Fiammiferaia accende altri fiammiferi. Ogni fantasia si estingue, e di nuovo la bimba è nella neve, al gelo. Quando la psiche si congela, una persona si volge soltanto verso se stessa. Accende il terzo fiammifero. Il tre è il numero magico, il punto in cui dovrebbe accendere qualcosa di nuovo. Qui, siccome la fantasia schiaccia l'azione, non accade nulla di nuovo. E' strano trovare nella storia l'albero di Natale, che nasce da un simbolo precristiano della
 vita eterna - il sempreverde. Forse questo potrebbe salvarla, l'idea della psiche-anima sempre-verde, sempre-in-crescita, sempre-in-moto. Ma la stanza non ha soffitto. La psiche non può contenere l'idea della vita. L'ipnosi ha la meglio. La nonna cosà affettuosa, cosà gentile, è la morfina finale, l'ultima goccia di cicuta. Trascina la bimba nel sonno della morte. Nel suo senso più negativo è il sonno della compiacenza, il sonno del torpore - “Va tutto bene, ce la faccio a sopportare”; il sogno del diniego - “Sembro soltanto nell'altro modo”. E' il sonno della fantasia malevola, in cui speriamo che ogni pena magicamente sparirà. E' un fatto psichico che quando la libido, o l'energia, si indebolisce tanto che il suo respiro non appanna più lo specchio, compare la natura Vita/Morte/Vita, impersonata nella storia dalla nonna. E' suo compito arrivare alla morte di qualcosa, tenere in incubazione l'anima che si è lasciata dietro il suo involucro, e prendersene cura finché non potrà rinascere. E questa è la felicità della psiche: anche se il finale è doloroso, come per la Piccola Fiammiferaia, c'è sempre un raggio di luce. Perché la Donna Selvaggia della psiche scaglierà vita nuova nella mente della donna, dandole ancora una volta l'occasione per agire in prima persona. Come possiamo evincere dalla sofferenza che comporta, è molto meglio guarire dalla dipendenza dalla fantasia che restare in attesa, desiderando e sperando di essere risollevate dalla morte."

venerdì 16 aprile 2010

Questione di gusti - metafora o riflessione cavallina

Era nato in una fattoria né troppo grande, né troppo piccola, sui 230 cavalli. Lui era Nil, un cavallo bianco, di costituzione piuttosto delicata. Era nato, come avrebbe scoperto più tardi, in cattività, come tutti i cavalli di quella fattoria.
Fin da piccolo aveva seguito diversi corsi di addestramento dove veniva insegnato che in origine le fattorie erano state opera di una certa specie chiamata uomo. Insomma una teoria piuttosto vaga. Alcuni sostenevano che in seguito a cambiamenti climatici, inversione di poli, cambiamenti di frequenza e magnetismo del pianeta, l’uomo sarebbe passato su un altro piano di esistenza, altri invece affermavano che l’uomo fosse scomparso come conseguenza di qualche catastrofe da lui stesso prodotta.
Si raccontava ancora di cavalli liberi ,selvaggi, che l’uomo avrebbe catturato ed addomesticato per le sue necessità. Cavalli capaci di salti e velocità inimmaginabili ai giorni d’oggi, cavalli che fossero stati capaci di trovare una strada anche al buio, presentire terremoti ed altre catastrofi.
Poi appunto la scomparsa dell’uomo dal pianeta e l’evoluzione del cavallo, un cavallo razionale , la specie più evoluta presente sul pianeta.
Vivevano in condizioni assai difficili, in fattorie più o meno grandi coordinate da gruppi di cavalli scelti e fin da piccoli erano insegnati a pregare per il ritorno dell’uomo che avrebbe saputo rimettere ordine e provvedere ai loro bisogni.
Ma sinceramente Nil non credeva all’esistenza di questo meraviglioso uomo.
Era sempre più convinto che il cavallo fosse opera della natura, diciamo un qualche incidente della materia, una combinazione casuale che aveva fatto nascere la materia e le forme di vita esistenti.
A Nil piaceva tanto riflettere e seguiva tanti corsi. Beh, sinceramente a lui piaceva di più la parte teorica, gli piaceva ascoltare, riflettere, per il piano pratico diciamo che non si sentiva portato. Guardava attentamente gli altri, i loro modi di fare, il modo di correre, saltellare, mangiare anche …
Un giorno menato dalla curiosità , dalla noia, e soprattutto per causa di quell’insoddisfazione che si portava dietro da sempre, decise di cambiare fattoria. Altre usanze, altri suoni, però in fondo e in sostanza il cavallo era sempre lo stesso, un’essere complesso, difficile da comprendere. In seguito avrebbe capito che poteva cambiare quante fattorie voleva, avrebbe portato dietro sempre lo stesso Nil, quel cavallo sempre scontento , in cerca di chissà cosa.
In questa nuova fattoria si era ritrovato a seguire un corso assai interessante, un’ adattamento di una tecnica umana (beh, per modo di dire, lui all’uomo non ci credeva mica), un corso di tocco. Si parlava lì di vitalità, di sostegno, ritmi, ascolto, contatto, punti di riferimento, stabilità e movimento, crescita, di energia, di punti vitali…
E lui ne rimase affascinato.
Scopriva che il corpo conservava una sua memoria, la quale si rifletteva nel tono muscolare, nei movimenti, nelle posture, attraverso soglie percettive e sensazioni interne e che certe contratture potevano raccontare di emozioni cristallizzate, di eventi non capiti e conservati come difesa o non accettazione di un qualcosa.
Rifletteva Nil anche sui meccanismi, sui modi di agire, di reazioni condizionate , di automatismi e tattiche nate dalla necessità di tecniche e scorciatoie che permettano il minor sforzo possibile. E ancora voleva capire in qualche modo , che se è vero che tutto cambia in base al punto di riferimento, cosa che implica l’esistenza di più modelli culturali, se giudicare in termini di bene e male, buono e cattivo è piuttosto limitante, beh, se ogni cosa è complementare, allora alla fine, se il giusto e sbagliato sono così relativi, diciamo che in fin de conti le scelte diventano una questione di gusti.
E adesso che si parlava di memoria, ricordava di aver sentito racconti di cavalli che magari in seguito ad un’ incidente perdevano una zampa e loro continuavano a sentirla in qualche modo anche se questa mancava come forma fisica.
Aveva sentito anche di cavalli creduti morti e poi tornati in vita raccontavano di aver visto una luce bianca, di essersi sentiti leggeri senza alcun peso. Ne aveva incontrato anche Nil due di questi cavalli e poteva dire che erano dei tipi molto vivaci, con una grande voglia di vivere, creativi , altruisti e ottimisti.
Quindi ci sarebbe la memoria legata all’emozione e alla ripetitività di un evento, poi la memoria espressa anche nelle contrazioni del corpo, e agire su queste liberare sensazioni e ricordi; una memoria di parti del corpo anche se non più presenti e una memoria di fatti che non dovresti avere in quanto in fase inconscia. E poi ci sarebbe una memoria innata. Allora più memorie sulle quali si formava il carattere e un modello di rappresentazione della realtà.
Di nuovo gli torna in mente quel pensiero:
E se quel cavallo selvaggio, capace di cose oggi impensabili, fosse realmente esistito?
E se questo pensiero fosse in qualche relazione con quella memoria (mente profonda) con programmi di base, la memoria ereditata?
E se fosse possibile ricuperare quelle straordinarie capacità?
Considerare questa possibilità lo faceva stare bene, si sentiva più forte e nuove idee gli venivano incontro.
Così la vita diventava il terreno di manifestazione di infinite possibilità dove le forme di vita sono immagini riflesse su realtà multiforme dentro le quali diventa possibile allargare i propri confini per fare posto a nuove sensazioni, nuovi profumi e sapori ancora più decisi e più ricchi di sensi, possibile muoversi nella direzione dei propri sogni per uscire dalle gabbie strette e soffocanti delle ordinarie convinzioni.

Alina

mercoledì 24 marzo 2010

Un altro tempo

C’era una volta, e continuano alcune fiabe rumene, perché se non ci fosse stato, non si sarebbe raccontato…

Dunque c’era una bambina nata e cresciuta in città. Come tanti altri bambini. E come tanti altri bambini ancora , alcuni giorni delle vacanze estive li passava dai nonni, che abitavano pure in città , ma in estate si trasferivano per un periodo in campagna.
La casa dei nonni era quasi in margine al villaggio, dopo il quale iniziava , il parco lo chiamavano, ma era piuttosto un piccolo bosco con un castello dentro , un frutteto , un piccolo cimitero. Una volta erano appartenuti ad un nobile, adesso erano un po’ di tutti. E la bambina ci andava spesso, tante volte col nonno. Al castello c’erano tanti fiori, e sui muri tanti di quelle teste di leoni e ogni volta che li vedeva con la bocca aperta le veniva da infilarci dentro la manina. Tanto non mordevano mai. Poi tra gli alberi le capitava di vedere qualche scoiattolo dalla coda rossa e folta (anni dopo ne avrebbe visti in un posto di montagna una specie più piccola , nera e si chiamavano tutti Marianna), i picchi di cui si dicevano che fossero i dottori degli alberi e le lucciole. A volte ne prendeva qualcuna e la metteva in qualche scatolina trasparente. Pensava dovessero essere contente di avere una loro casetta, poi le scopriva morte e sorgeva il sospetto che non fossero tanto contente di essere inscatolate.
Come quei pulcini tutti morbidi e bellini che tremavano forte, forte quando li prendeva tra le mani. E il gatto che stufo di esser tirato per la coda, graffiava forte e scappava.
Ogni tanto andava col nonno o qualche amica più grande al pozzo per prendere acqua e le dicevano di fare attenzione, non sporgersi troppo, perché la dentro c’era qualcuno che tirava dentro i bambini troppo curiosi. E la bambina ci guardava dentro, e sì, veramente c’era qualcuno là. Ma il pozzo era profondo e non si vedeva bene chi o cosa fosse. Pure la sua voce era diversa quando ci gridava dentro. Comunque si era proposto di guardarci solo quando c’era qualcuno intorno si sa mai…
Poi le avevano detto, ogni qualvolta andava in giro da sola, di salutare le persone anche se non le conosceva. E lei da brava bambina eseguiva. Ma grande era la sua sorpresa quando al suo saluto le persone rispondevano con un grande sorriso e le domandavano di chi fosse. In città si salutavano solo i conosciuti, quali in fretta passavano oltre e quindi questi sconosciuti volevano sapere di lei?
E cosa voleva dire : di chi sei? Era forse di qualcuno?
Una volta , mentre era insieme alla sua amica migliore che abitava nel villaggio, incontrarono una vecchia, vestita in modo strano e con un solo dente. Non fosse stato per il fatto che l’avevano già informata altri bambini che le streghe non esistono , e che era in compagnia, sarebbe scappata dimenticando la buona educazione. Altro che entrare nella casa della signora. E c’era pure il forno! Meglio guardare da un’altra parte. Stupore nel sentire da quella signora, mentre parlava con loro, che anche lei leggeva le fiabe!
Poi c’erano le mucche che la sera facevano ritorno a casa e lei scappava subito nel giardino dei nonni. Si meravigliava di come sapevano venire da sole a casa quelle mucche e fermarsi davanti al cancello dei loro padroni. Aveva sentito l’espressione “ Guardare come la mucca davanti ad un cancello nuovo” e pensava, allora se qualcuno voleva fare uno scherzo e cambiare cancello, chissà se la mucca passava oltre e rimaneva fregata. Tanto a lei facevano un po’ antipatia quelle mucche e a lei non piaceva neanche il latte…
Quando pioveva si metteva in veranda sbirciando tra i grappoli d’uva ancora verdi. Ogni tanto ne assaggiava qualche chicco, brrr, che asproooo.
Il melo nel giardino preparava le sue buone mele, le prugne e le pere si potevano già mangiare. Qualche volta la nonna la mandava a raccogliere una certa pianta che lei chiamava la coda del topolino e usava molto per le tisane.
E la sera si cenava a lume di candela ascoltando i nonni o raccontando la giornata.
E poi si faceva ritorno in città. Di nuovo la scuola, gli amici, i giochi, i libri, il pianoforte…
Ricorda ancora quel giorno , prima delle vacanze estive, di incontro tra i suoi colleghi della classe di pianoforte ed i loro genitori. Si organizzava una festa di fine anno e ognuno doveva esibire un pezzo. La sala era bellissima, con tante luci, specchi, un bel pianoforte nero a coda e tanti fiori intorno.
Che paura quel giorno! La bambina avrebbe voluto scappare, ma non volendo deludere , non ha detto niente e quando è arrivato il suo turno si è alzata e ha suonato come meglio poteva. Finito il pezzo si è sentita di colpo molto sollevata e quando ha sentito gli applausi e qualche “Brava!” le è sembrato di sentirsi in un certo modo, come svegliata in quel momento per il rumore e fatto un inchino se n'è andata molto stranita.
Lasciamo la bambina dentro ai ricordi a continuare le sue scoperte.

Ma è rimasto sospeso in aria quel pensiero della paura e la voglia di fuggire. E se magari tutti gli artisti un giorno scappassero ? “ Spiacenti, stasera niente spettacolo, il protagonista ha troppo paura, si riprova domani. ”
In realtà in tanti lo fanno veramente. Ogni giorno qualcuno scappa, ogni giorno qualcuno evita, qualcuno rinvia per un'altra volta quando si sentirà più preparato, più forte, più coraggioso…
Chissà se poi alla fine del nostro spettacolo ci sembrerà, come alla bambina, di destarci di colpo in un altro tempo, con un forte sentimento di consenso, di piacere condiviso e finita la parte, finalmente la PACE…

Alina

giovedì 28 gennaio 2010

Specchio, specchio delle mie brame...

Quando avevo 16 anni, esattamente la metà di quelli di adesso, pensavo che gli adulti avessero torto a non darci molto conto a noi giovani, che io per quegli anni di scuola ero più colta di molti di loro (aaah!) e che avevo già capito tante cose, che insomma da quel momento in poi mi consideravo così saggia e che la vita ormai non aveva più segreti per me.
Ah, l’arroganza della gioventù, ah l’incoscienza dell’ignoranza!
In seguito la vita , pur scappando il più possibile, non mi ha risparmiata e colpo su colpo è riuscita a smussare la mia arroganza.
Quanto mi credevo brava e intelligente a 16 anni!
Chino la testa e riconosco la mia ignoranza, la mia piccolezza. Proprio per essermi creduta più di quanto non fossi da una parte, e meno di quello che ero da un’altra parte, sono riuscita a fare e scoprire così poco che mi pare di non avere neanche vissuto, ma solo sognato di farlo.
In un certo senso mi sembra di non essere stata viva che per pochissimi istanti e allo stesso tempo mi pare di essere già morta a quella di prima.
Quindi prima non eri viva e adesso sei morta? Eh?
Se vorrò tornare a vivere, di una vita più vera, allora dovrò fare molta attenzione a non cadere più:
Nella trappola dei rivoltati.
Nella trappola dei giusti che vogliono dimostrare che tutto quello che fa guadagnare qualcuno è sbagliato, che la religione e la politica non hanno valori.
Nella trappola di quelli che ti additano dicendoti di essere cieco e non ti accettano fino a quando non fai e dici come loro.
Nella trappola di chi si dà il nome di un'altra realtà per poi metterti sempre davanti immagini di sofferenza invitandoti a combatterli.
Ma io non voglio lottare contro, perché la lotta mi dà l’idea della violenza. E con la violenza non si raggiungerà mai la pace. Mettendoti sempre davanti gli orrori, le ingiustizie, parlarne sempre, combatterli, non fa che aumentare il loro potere, perpetuare la paura, la rivolta e la violenza. Quello che fa paura indebolisce, mentre la bellezza dona sempre forza, vitalità.
Perciò io voglio lavorare per. Per la mia crescita, per la mia pace e quella degli altri, per la bellezza, per l’amore.
Con la lotta si va sempre in cerchio. Invece noi abbiamo bisogno di una spirale, di modo che ci sia solo l’illusione di tornare al punto di partenza. Ci deve essere una crescita.
Che poi alla fine si potrebbe concludere tutto con un cerchio. Ma in quel cerchio non sei lo stesso della partenza. Sei sempre te stesso in essenza, ma nel lavoro della coscienza sei uno che ha perso tanto del bagaglio iniziale, una perdita, meglio dire una rinuncia necessaria per fare posto a un nuovo più consapevole.
Alla fine magari possiedi un numero uguale di conoscenze, di qualità, ma la loro materia è diversa, fatta di luce, fatta di intercorrispondenza.
Come nella fiaba Biancaneve, chi crede di essere apprezzabile per la sua bellezza di questa facendosi un’identità e cerca di danneggiare un altro per non sentirsi sminuito, questi perderà la sua bellezza, ma chi la sua bellezza la vede come qualcosa di perfettibile e in nessun caso superiore ad un’altra, allora questa sua iniziale bellezza lo condurrà verso qualcosa di nuovo, di più grande ancora...
Come diceva il buon Pascal?
“ Non bisogna che l’uomo creda di essere uguale alle bestie, o agli angeli, né ch’egli ignori l’una e l’altra cosa, ma bisogna che conosca entrambe.
419. Non tollererò che si adagi né nell’una né nell’altra cosa, affinché essendo senza sostegno e senza riposo…
420. S’egli si vanta, io l’umilio, se si umilia lo vanto; e sempre lo contraddico, finché non si renda conto di essere un mostro incomprensibile.
421. Alla stessa stregua biasimo e coloro che prendono la risoluzione di lodare l’uomo, e coloro che prendono quella di biasimarlo, e coloro che prendono quella di pensare ad altro; e posso approvare soltanto coloro che cercano gemendo.
422. E’ buona cosa essere stanchi e spossati per l’inutile ricerca del vero bene, al fine di tendere le braccia al Liberatore.
423. Contrarietà. Dopo aver mostrato la bassezza e la grandezza dell’uomo. - L’uomo valuti a questo punto il suo valore. Ami se stesso, perché c’è in lui una natura capace di bene; ma non ami per questo le bassezze che sono in essa. Disprezzi se stesso, perché quella capacità è vacua; ma non disprezzi per questo tale capacità naturale. Odi se stesso, ami se stesso: egli ha in sé la capacità di conoscere la verità e si essere felice; ma non possiede alcuna verità costante o soddisfacente.
Vorrei dunque portare l’uomo a desiderare di trovarne, a essere pronto e libero dalle passioni, per seguirla dove la troverà, sapendo quanto la sua conoscenza sia oscurata dalle passioni; vorrei davvero che egli odiasse in sé la concupiscenza che riesce da sé a farlo determinare, affinché essa non lo accechi nel fare la scelta, e non lo arresti, a scelta avvenuta.
424. Tutte queste contrarietà, che sembrano maggiormente allontanarmi dalla conoscenza della religione, son proprio quelle che mi hanno più presto condotto a quella vera.”

Alina

lunedì 4 gennaio 2010

FESTINA LENTE

E tecnologia fu! E così avemmo anche la televisione, i cellulari , i computer e l’Internet. Ci scoprimmo affamati di bellezza, di notizie, di contatto e di relazioni. Fummo sopraffatti dalla quantità di informazioni e di cose da fare.
E di colpo qualcuno si è sentito stanco, come alla fine di una lunga, angosciosa corsa.
Da troppo tempo che inghiottiamo quantità enormi di informazioni. E' giusto che adesso impariamo a distinguere tra il superfluo e la necessità.

Ogni tanto prendiamoci del tempo per guardare le cose come se fosse la prima volta che le vediamo, ogni tanto ascoltiamo il nostro respiro ed il silenzio dietro il rumore.
Rallentiamo la corsa e ricordiamoci dei nostri veri bisogni.
Ricordiamoci di vivere!

Alina