lunedì 28 dicembre 2009

Lettere contro la guerra, Terzani

LETTERA DALL'HIMALAYA
Che fare?
Nell'Himalaya indiana, 17 gennaio 2002   

Mi piace essere in un corpo che ormai invecchia. Posso guardare le montagne senza il desiderio di scalarle. Quand'ero giovane le avrei volute conquistare. Ora posso lasciarmi conquistare da loro. Le montagne, come il mare, ricordano una misura di grandezza dalla quale l'uomo si sente ispirato, sollevato. Quella stessa grandezza è anche in ognuno di noi, ma lì ci è diffìcile riconoscerla. Per questo siamo attratti dalle montagne. Per questo, attraverso i secoli, tantissimi uomini e donne sono venuti quassù nell'Himalaya sperando di trovare in queste altezze le risposte che sfuggivano loro restando nelle pianure. Continuano a venire.
L'inverno scorso davanti al mio rifugio passò un vecchio sanyasin vestito d'arancione. Era accompagnato da un discepolo, anche lui un rinunciatario.
" Dove andate, Maharaj? " gli chiesi.
"A cercare dio", rispose, come fosse stata la cosa più ovvia del mondo.
Io ci vengo, come questa volta, a cercare di mettere un po' d'ordine nella mia testa. Le impressioni degli ultimi mesi sono state fortissime e prima di ripartire, di "scendere in pianura" di nuovo, ho bisogno di silenzio. Solo così può capitare di sentire la voce che sa, la voce che parla dentro di noi. Forse è solo la voce del buon senso, ma è una voce vera.
Le montagne sono sempre generose. Mi regalano albe e tramonti irripetibili; il silenzio è rotto solo dai suoni della natura che lo rendono ancora più vivo.
L'esistenza qui è semplicissima. Scrivo seduto sul pavimento di legno, un pannello solare alimenta il mio piccolo computer; uso l'acqua di una sorgente a cui si abbeverano gli animali del bosco - a volte anche un leopardo -, faccio cuocere riso e verdure su una bombola a gas, attento a non buttar via il fiammifero usato. Qui tutto è all'osso, non ci sono sprechi e presto si impara a ridare valore ad ogni piccola cosa. La semplicità è un enorme aiuto nel fare ordine.
A volte mi chiedo se il senso di frustrazione, d'impotenza che molti, specie fra i giovani, hanno dinanzi al mondo moderno è dovuto al fatto che esso appare loro così complicato, così difficile da capire che la sola reazione possibile è crederlo il mondo di qualcun altro: un mondo in cui non si può mettere le mani, un mondo che non si può cambiare. Ma non è così: il mondo è di tutti.
Eppure, dinanzi alla complessità di meccanismi disumani - gestiti chi sa dove, chi sa da chi - l'individuo è sempre più disorientato, si sente perso, e finisce così per fare semplicemente il suo piccolo dovere nel lavoro, nel compito che ha dinanzi, disinteressandosi del resto e aumentando così il suo isolamento, il suo senso di inutilità. Per questo è importante, secondo me, riportare ogni problema all'essenziale. Se si pongono le domande di fondo, le risposte saranno più facili.
Vogliamo eliminare le armi? Bene: non perdiamoci a discutere sul fatto che chiudere le fabbriche di fucili, di munizioni, di mine anti-uomo o di bombe atomiche creerà dei disoccupati. Prima risolviamo la questione morale. Quella economica l'affronteremo dopo. O vogliamo, prima ancora di provare, arrenderci al fatto che l'economia determina tutto, che ci interessa solo quel che ci è utile?
" In tutta la storia ci sono sempre state delle guerre. Per cui continueranno ad esserci, "si dice. " Ma perché ripetere la vecchia storia? Perché non cercare di cominciarne una nuova?" rispose Gandhi a chi gli faceva questa solita, banale obbiezione. L'idea che l'uomo possa rompere col proprio passato e fare un salto evolutivo di qualità era ricorrente nel pensiero indiano del secolo scorso. L'argomento è semplice: se l'homo sapiens, quello che ora siamo, è il risultato della nostra evoluzione dalla scimmia, perché non immaginarsi che quest'uomo, con una nuova mutazione, diventi un essere più spirituale, meno attaccato alla materia, più impegnato nel suo rapporto col prossimo e meno rapace nei confronti del resto dell'universo?
E poi: siccome questa evoluzione ha a che fare con la coscienza, perché non provare noi, ora, coscientemente, a fare un primo passo in quella direzione? Il momento non potrebbe essere più appropriato visto che questo homo sapiens è arrivato ora al massimo del suo potere, compreso quello di distruggere sé stesso con quelle armi che, poco sapientemente, si è creato.
Guardiamoci allo specchio. Non ci sono dubbi che nel corso degli ultimi millenni abbiamo fatto enormi progressi. Siamo riusciti a volare come uccelli, a nuotare sott'acqua come pesci, andiamo sulla luna e mandiamo sonde fin su Marte. Ora siamo persino capaci di donare la vita. Eppure, con tutto questo progresso non siamo in pace né con noi stessi né col mondo attorno. Abbiamo appestato la terra, dissacrato fiumi e laghi, tagliato intere foreste e reso infernale la vita degli animali, tranne quella di quei pochi che chiamiamo " amici " e che coccoliamo finché soddisfano la nostra necessità di un surrogato di compagnia umana.
Aria, acqua, terra e fuoco, che tutte le antiche civiltà hanno visto come gli elementi base della vita - e per questo sacri - non sono più, com'erano, capaci di auto-rigenerarsi naturalmente da quando l'uomo è riuscito a dominarli e a manipolarne la forza ai propri fini. La loro sacra purezza è stata inquinata. L'equilibrio è stato rotto.
Il grande progresso materiale non è andato di pari passo col nostro progresso spirituale. Anzi: forse da questo punto di vista l'uomo non è mai stato tanto povero da quando è diventato così ricco. Da qui l'idea che l'uomo, coscientemente, inverta questa tendenza e riprenda il controllo di quello straordinario strumento che è la sua mente. Quella mente, finora impegnata prevalentemente a conoscere e ad impossessarsi del mondo esterno, come se quello fosse la sola fonte della nostra sfuggente felicità, dovrebbe rivolgersi anche all'esplorazione del mondo interno, alla conoscenza di sé.
Idee assurde di qualche fachiro seduto su un letto di chiodi? Per niente. Queste sono idee che, in una forma o in un'altra, con linguaggi diversi, circolano da qualche tempo nel mondo. Circolano nel mondo occidentale, dove il sistema contro cui queste idee teoricamente si rivolgono le ha già riassorbite, facendone i " prodotti " di un già vastissimo mercato " alternativo " che va dai corsi di yoga a quelli di meditazione, dall'aromaterapia alle " vacanze spirituali " per tutti i frustrati della corsa dietro ai conigli di plastica della felicità materiale. Queste idee circolano nel mondo islamico, dilaniato fra tradizione e modernità, dove si riscopre il significato originario di jihad, che non è solo la guerra santa contro il nemico esterno, ma innanzitutto la guerra santa interiore contro gli istinti e le passioni più basse dell'uomo.
Per cui non è detto che uno sviluppo umano verso l'alto sia impossibile. Si tratta di non continuare incoscientemente nella direzione in cui siamo al momento. Questa direzione è folle, come è folle la guerra di Osama Bin Laden e quella di George W. Bush. Tutti e due citano Dio, ma con questo non rendono più divini i loro massacri.
Allora fermiamoci. Immaginiamoci il nostro momento di ora dalla prospettiva dei nostri pronipoti. Guardiamo all'oggi dal punto di vista del domani per non doverci rammaricare poi d'aver perso una buona occasione. L'occasione è di capire una volta per tutte che il mondo è uno, che ogni parte ha il suo senso, che è possibile rimpiazzare la logica della competitività con l'etica della coesistenza, che nessuno ha il monopolio di nulla, che l'idea di una civiltà superiore a un'altra è solo frutto di ignoranza, che l'armonia, come la bellezza, sta nell'equilibrio degli opposti e che l'idea di eliminare uno dei due è semplicemente sacrilega. Come sarebbe il giorno senza la notte? La vita senza la morte? O il Bene? Se Bush riuscisse, come ha promesso, a eliminare il Male dal mondo?
Questa mania di voler ridurre tutto ad una uniformità è molto occidentale. Vivekananda, il grande mistico indiano, viaggiava alla fine dell'Ottocento negli Stati Uniti per far conoscere l'induismo. A San Francisco, alla fine di una sua conferenza, una signora americana si alzò e gli chiese: "Non pensa che il mondo sarebbe più bello se ci fosse una sola religione per tutti gli uomini?" "No", rispose Vivekananda. "Forse sarebbe ancora più bello se ci fossero tante religioni quanti sono gli uomini. "
" Gli imperi crescono e gli imperi scompaiono ", dice l'inizio di uno dei classici della letteratura cinese, 77 Romanzo dei Tre Regni. Succederà anche a quello americano, tanto più se cercherà d'imporsi con la forza bruta delle sue armi, ora sofisticatissime, invece che con la forza dei valori spirituali e degli ideali originali dei suoi stessi Padri Fondatori.
I primi ad accorgersi del mio ritorno quassù sono stati due vecchi corvi che ogni mattina, all'ora di colazione, si piazzano sul deodar, l'albero di dio, un maestoso cedro davanti a casa e gracchiano a più non posso finché non hanno avuto i resti del mio yogurt - ho imparato a farmelo - e gli ultimi chicchi di riso nella ciotola. Anche se volessi, non potrei dimenticarmi della loro presenza e di una storia che gli indiani raccontano ai bambini a proposito dei corvi. Un signore che stava, come me, sotto un albero nel suo giardino, un giorno non ne poté più di quel petulante gracchiare dei corvi. Chiamò i suoi servi e quelli con sassi e bastoni li cacciarono via. Ma il Creatore, che in quel momento si svegliava da un pisolino, si accorse subito che dal grande concerto del suo universo mancava una voce e, arrabbiatissimo, mandò di corsa un suo assistente sulla terra a rimettere i corvi sull'albero.
Qui, dove si vive al ritmo della natura, il senso che la vita è una e che dalla sua totalità non si può impunemente aggiungere o togliere niente è grande. Ogni cosa è legata, ogni parte è l'insieme.
Thich Nhat Hanh, il monaco vietnamita, lo dice bene a proposito di un tavolo, un tavolino piccolo e basso come quello su cui scrivo. Il tavolo è qui grazie ad una infinita catena di fatti, cose e persone: la pioggia caduta sul bosco dove è cresciuto l'albero che un boscaiolo ha tagliato per darlo a un falegname che lo ha messo assieme coi chiodi fatti da un fabbro col ferro di una miniera... Se un solo elemento di questa catena, magari il bisnonno del falegname, non fosse esistito, questo tavolino non sarebbe qui.
I giapponesi, ancora quando io stavo nel loro paese, pensavano di proteggere il clima delle loro isole non tagliando le foreste giapponesi, ma andando a tagliare quelle dell'Indonesia e dell'Amazzonia. Presto si son resi conto che anche questo ricadeva su di loro: il clima della terra mutava per tutti, giapponesi compresi.
Allo stesso modo, oggi non si può pensare di continuare a tenere povera una grande parte del mondo per rendere la nostra sempre più ricca. Prima o poi, in una forma o nell'altra, il conto ci verrà presentato. O dagli uomini o dalla natura stessa.
Quassù, la sensazione che la natura ha una sua presenza psichica è fortissima. A volte, quando tutto imbacuccato contro il freddo mi fermo ad osservare, seduto su un grotto, il primo raggio di sole che accende le vette dei ghiacciai e lentamente solleva il velo di oscurità, facendo emergere catene e catene di altre montagne dal fondo lattiginoso delle valli, un'aria di immensa gioia pervade il mondo ed io stesso mi ci sento avvolto, assieme agli alberi, gli uccelli, le formiche: sempre la stessa vita in tante diverse, magnifiche forme.
E' il sentirsi separati da questo che ci rende infelici. Come il sentirci divisi dai nostri simili. "La guerra non rompe solo le ossa della gente, rompe i rapporti umani ", mi diceva a Kabul quel vulcanico personaggio che è Gino Strada. Per riparare quei rapporti, nell'ospedale di Emergency, dove ripara ogni altro squarcio del corpo, Strada ha una corsia in cui dei giovani soldati talebani stanno a due passi dai loro "nemici", soldati dell'Alleanza del Nord. Gli uni sono prigionieri, gli altri no; ma Strada spera che le simili mutilazioni, le simili ferite li riavvicineranno.
Il dialogo aiuta enormemente a risolvere i conflitti. L'odio crea solo altro odio. Un cecchino palestinese uccide una donna israeliana in una macchina, gli israeliani reagiscono ammazzando due palestinesi, un palestinese si imbottisce di tritolo e va a farsi saltare in aria assieme a una decina di giovani israeliani in una pizzeria; gli israeliani mandano un elicottero a bombardare un pulmino carico di palestinesi, i palestinesi... e avanti di questo passo. Fin quando? Finché son finiti tutti i palestinesi? tutti gli israeliani? tutte le bombe?
Certo: ogni conflitto ha le sue cause, e queste vanno affrontate. Ma tutto sarà inutile finché gli uni non accetteranno l'esistenza degli altri ed il loro essere eguali, finché noi non accetteremo che la violenza conduce solo ad altra violenza.
" Bei discorsi. Ma che fare? " mi sento dire, anche qui nel silenzio.
Ognuno di noi può fare qualcosa. Tutti assieme possiamo fare migliaia di cose.
La guerra al terrorismo viene oggi usata per la militarizzazione delle nostre società, per produrre nuove armi, per spendere più soldi per la difesa. Opponiamoci, non votiamo per chi appoggia questa politica, controlliamo dove abbiamo messo i nostri risparmi e togliamoli da qualsiasi società che abbia anche lontanamente a che fare con l'industria bellica. Diciamo quello che pensiamo, quello che sentiamo essere vero: ammazzare è in ogni circostanza un assassinio.
Parliamo di pace, introduciamo una cultura di pace nell'educazione dei giovani. Perché la storia deve essere insegnata soltanto come un'infinita sequenza di guerre e di massacri?
Io, con tutti i miei studi occidentali, son dovuto venire in Asia per scoprire Ashoka, uno dei personaggi più straordinari dell'antichità; uno che tre secoli prima di Cristo, all'apice del suo potere, proprio dopo avere aggiunto un altro regno al suo già grande impero che si estendeva dall'India all'Asia centrale, si rende conto dell'assurdità della violenza, decide che la più grande conquista è quella del cuore dell'uomo, rinuncia alla guerra e, nelle tante lingue allora parlate nei suoi domini, fa scolpire nella pietra gli editti di questa sua etica. Una stele di Ashoka in greco ed aramaico è stata scoperta nel 1958 a Kandahar, la capitale spirituale del mullah Omar in Afghanistan, dove ora sono accampati i marines americani. Un'altra, in cui Ashoka annuncia l'apertura di un ospedale per uomini ed uno per animali, è oggi all'ingresso del Museo Nazionale di Delhi.
Ancor più che fuori, le cause della guerra sono dentro di noi. Sono in passioni come il desiderio, la paura, l'insicurezza, l'ingordigia, l'orgoglio, la vanità. Lentamente bisogna liberarcene. Dobbiamo cambiare atteggiamento. Cominciamo a prendere le decisioni che ci riguardano e che riguardano gli altri sulla base di più moralità e meno interesse. Facciamo più quello che è giusto, invece di quel che ci conviene. Educhiamo i figli ad essere onesti, non furbi.
Riprendiamo certe tradizioni di correttezza, reimpossessiamoci della lingua, in cui la parola " dio " è oggi diventata una sorta di oscenità, e torniamo a dire " fare l'amore " e non " fare sesso ". Alla lunga, anche questo fa una grossa differenza.
È il momento di uscire allo scoperto, è il momento d'impegnarsi per i valori in cui si crede. Una civiltà si rafforza con la sua determinazione morale molto più che con nuove armi.
Soprattutto dobbiamo fermarci, prenderci tempo per riflettere, per stare in silenzio. Spesso ci sentiamo angosciati dalla vita che facciamo, come l'uomo che scappa impaurito dalla sua ombra e dal rimbombare dei suoi passi. Più corre, più vede la sua ombra stargli dietro; più corre, più il rumore dei suoi passi si fa forte e lo turba, finché non si ferma e si siede all'ombra di un albero. Facciamo lo stesso.
Visti dal punto di vista del futuro, questi sono ancora i giorni in cui è possibile fare qualcosa. Facciamolo. A volte ognuno per conto suo, a volte tutti assieme. Questa è una buona occasione.
Il cammino è lungo e spesso ancora tutto da inventare. Ma preferiamo quello dell'abbrutimento che ci sta dinanzi? O quello, più breve, della nostra estinzione?
Allora: Buon Viaggio! Sia fuori che dentro.

lunedì 21 dicembre 2009

Il Quarto Mago

" Si avvicinava la primavera. La neve iniziava a sciogliersi …

Il Monaco stava seduto su una sedia bassa e guardava… guardava nutrendo la sua anima… e non ne aveva mai abbastanza. Sentiva in tutto il suo essere questo risveglio travolgente della natura che prendeva pure lui dandogli forze insospettate. ..
Adesso sedeva e riposava sotto i raggi tiepidi del sole… sonnecchio persino un po’. La notte che era appena passata aveva vegliato alla testa di un ragazzino che due genitori addolorati gli avevano portato la sera prima, avvolto in una coperta. Solo dieci primavere aveva vissuto e all’improvviso… era cadute molle, senza voce ed era entrato in uno stato che sembrava sonno; la respirazione si percepiva appena e non rispondeva più ai richiami preoccupati dei genitori. Quelli del villaggio hanno provato a trovargli una cura, ma non ci sono riusciti. E allora i genitori presero il bambino in una coperta, sulla schiena e così, con lacrime di dolore erano arrivati sù in montagna, alla grotta. Neanche sapevano bene come; ma qui era la loro ultima speranza. Il Monaco aveva guardato a lungo il ragazzino, accarezzò la sua testolina e poi, alzandosi e guardando verso i genitori domandò:
- Che parole di offesa avete pronunciato e con chi?
Tra i pianti la donna iniziò a dire qualcosa sulla gente del villaggio , alcuni malintesi; quelli avevano detto parole pesanti… e le parole hanno raggiunto il ragazzo. “ ma che colpa ne ha lui, che è ancora bambino e innocente; che soffriamo noi e che lui viva!”
L’uomo stava con la testa abbassata e non diceva niente, sembrava che macinava il suo dolore. Scuotendo la testa per rimprovero, il Monaco iniziò a dire con tristezza:
- Persone grandi che siete! … Il male delle parole non esisterebbe se non esistesse prima dentro l’uomo. Lì vive, mostrando verso i due, e da lì mostra i suoi denti. E spesso morde i più innocenti, più fragili, più puliti. Perché se mordesse voi neanche lo notereste; così soffrite per il bambino… magari capirete qualcosa.
Non siete voi quelli con cui ho parlato anni addietro , quando avevate litigato con dei vicini, e il tuo uomo si era fratturata la gamba; non è così, donna? Non avete capito niente e guarda dove siete arrivati. Adesso non è così facile… e se non farete come dirò…non so veramente che ne sarà del bambino!
- Perdonaci, Monaco e aiuta il piccolo! Faremo come dici!
- Il cielo e la gente devono perdonarvi, e adesso tornatevene nel villaggio. Lungo il cammino pregate per il ragazzo e per le vostre anime che Zamolxe vi aiuti e lumini. Poi fate bene a fare pace con il villaggio, con il vicino, lasciate gioia dove avete offeso… pregate per il perdono, per quelle fatte o non fatte, ma pensate, - con piccolo e grande fate pace…siate come buoni fratelli e non lasciate che pensiero o cattiva parola torni tra di voi.
Il ragazzo lasciatelo qui. Tornerà da solo quando tutto sarà buono da voi. Adesso andate!
E, lasciadoli con i loro pensieri si avvicino al ragazzo. Le ore della notte le ha passate in veglia silenziosa alla sua testa. La candela bruciava in un angolo con una luce calda e un piacevole odore… Il Monaco, con le braccia alzate verso il cielo, era come una statua della preghiera per la vita; a tratti abbassava le mani e li passava lentamente sopra il ragazzo, dalla testa verso i piedi, come se accarezzasse senza toccarli. Dopo tempo mise entrambe le mani sopra la tesa del bambino e stette così, con la testolina tra le mani, un tempo…non sapeva quanto, solo che tra le crepe dell’entrata iniziava a intravedersi la luce del mattino. Le guance del ragazzo si erano un po’ colorate e il respiro alleggerito mostrava un sonno tranquillizzante e profondo. Solo allora il Monaco si alzò e usci per dare il benvenuto al sole come ad ogni inizio di giornata. I primi raggi correvano già sulla volta celeste , annunciando il suo arrivo senza ritardo e spingendo da un lato le falde del buio.
Rivolto verso l’astro della luce e del calore della vita, ringraziò il Cielo per il ragazzo, poi si sedette sulla sedia bassa, appoggiato alla roccia, sotto il sole, per riposare.”


Tratto da " Il Quarto Mago" di Alessandra Dumitriu

venerdì 11 dicembre 2009

Fantasia (?)

Come passa veloce il tempo! Quasi ieri ero ancora bambino, poi adolescente, dopo, sempre un anno in più... Un giorno mi sono reso conto che avevo sempre meno impegni, e oggi mi ritrovo vecchio e stanco. Guardo indietro e mi vedo fare salti tra un impegno e altro, famiglia, amici, studi, riconoscimenti e tanto, tanto lavoro. Una vita buona, perché no, non ho mai sofferto la fame, il freddo, la tortura...

Eppure oggi mi sento triste... Avrei voluto più tempo...
Lungo la strada mi è capitato qualche volta di incontrare delle persone, come dire, un po' strane, un po' diverse. Mi parlavano della vita come un viaggio, di tante cose ancora da scoprire, dicevano di sentirsi troppo in superficie e di voler andare più in profondità. Parlavano della vita come se fosse un mare e noi, la maggior parte, arenati sulla spiaggia a costruire castelli di sabbia. Mi dicevano di voler essere come le barche e andare viaggiando noncuranti tra le onde. E passavano tanto tempo immersi in quel loro mare.
Per parlare come loro, anch’io ci andavo al mare, come no? Solo che quelli là volevano passare il più tempo possibile nel mare, non lo so, provando forse a diventare barche?
Di questi qua alcuni costruivano pure loro e se capitava che un’ onda distruggeva tutto ridevano e costruivano qualcosa di più bello e più duraturo dicendo di aver scoperto che più simile al mare è una cosa, più  lunga sarà la sua vita.
Altri non costruivano per niente. Giravano di qua e di là dicendo di aver già costruito tempo fa e che non ne erano più interessati, o se capitava di fare qualcosa era così simile al mare che i più non la potevano nemmeno intravedere.
Ricordo una ragazza…Diceva di provare ad andare in alto mare, ma siccome non era abbastanza forte, abbastanza sperimentata, le onde più grandi finivano sempre per buttarla sulla spiaggia. E quando ci incontravamo mi mostrava alcune volte piangendo, altre volte ridendo, i suoi lividi, o mi parlava di qualche strana creatura vista nel mare. A volte portava delle conchiglie che lasciava sulla spiaggia per chi ne avesse avuto bisogno.
Mi invitava spesso al mare. Diceva che le piaceva di più andarci in compagnia, provare a scoprire anche con l’aiuto degli altri un modo per andare al largo.
Ma io ero troppo impegnato, non avevo il tempo per simili svaghi. Non mi potevo allontanare per molto, capitava mai un’onda più grande e rovinava tutto quello che avevo costruito con tanto sforzo?
E lei mi ripeteva sempre che nel mare avrei trovato materiali migliori per costruire, che avrei potuto costruire anch’io cose più resistenti perché più simili al mare.
Era solo fantasia sua, un modo per soffrire meno sulla spiaggia? Forse la vita non è tutta qua... Forse veramente c'era molto di più da scoprire, da sentire, da vivere...
Da giovane mi sentivo forte e ancora in tempo per provare tante strade, tante cose. Alla fine sono andato solo per una strada e adesso sono già vecchio. E stanco…
Zzzzzzzzzz!! Zzzzzzzzzzzzzzzz! Zzzzzzzzzzzzzzzzzz!
Cos’è questo rumore?!
Ah! La sveglia! Stavo solo sognando!
Oh, meno male! Sono ancora giovane!

Alina

mercoledì 9 dicembre 2009

Innocenza

Clarissa Pinkola Estés:
"Recita un antico detto: “Ignoranza è non sapere nulla ed essere attratti dal buono. Innocenza è conoscere tutto, ed essere ancora attratti dal buono”.
Se poteste poggiare lo sguardo sulla persona più crudele e impietosa del mondo mentre dorme e al momento del risveglio, in essa vedreste per un attimo lo spirito immacolato del bambino, la pura innocenza. Nel sonno siamo riportati ancora una volta a uno stato di amabilità. Nel sonno veniamo rifatti. Riassemblati dal di dentro, freschi e nuovi, come innocenti. In questo stato di saggia innocenza si entra lasciando cadere cinismo e protezionismo, e rientrando nello stato di meraviglia che si osserva nella maggior parte di coloro che sono molto giovani, e in molti che sono molto vecchi. E' la pratica di guardare negli occhi di uno spirito sapiente e amante, e non in quelli del cane frustato, della creatura inseguita, dell'essere ferito e in collera. L'innocenza è uno stato che si rinnova col sonno. Purtroppo molti la gettano da parte insieme alle coperte quando ogni giorno si levano. Meglio sarebbe portare con noi un'innocenza vigile, e tenercela stretta per averne calore.
Se l'iniziale ritorno a questo stato può comportare la necessità di scrostare anni di opinioni logore, decenni di baluardi incalliti e accuratamente costruiti, dopo il ritorno non si dovrà mai più indagare e scavare. Tornare a un'innocenza vigile non è uno sforzo come spostare un mucchio di mattoni: si tratta di restare immobili per tutto il tempo necessario allo spirito per trovarvi. Si dice che tutto quel che cerchiamo sta intanto cercando noi, e, se ce ne stiamo immobili, ci troverà. Ci aspetta da gran tempo. Occorre fermarsi, stare a vedere che cosa accadrà.
E' questo l'approccio alla natura Morte, non scaltro e astuto, ma improntato alla fiducia dello spirito.
 Per "innocente" s'intende spesso una persona che non sa, un sempliciotto. Etimologicamente significa non dannoso, non colpevole. In spagnolo "inocente" è una persona che cerca di non far del male a nessuno, ma è anche capace di curare il male e le ferite a lei inferte.
La "Inocentia" è spesso il nome dato alla "curandera", colei che guarisce gli altri. Essere un innocente significa saper vedere chiaramente di che si tratta e portarvi rimedio. Queste sono le possenti idee che stanno dietro all'innocenza. E' considerato non soltanto un atteggiamento teso a evitare il male agli altri o a sé, ma anche una capacità di ristabilirsi e reintegrare se stessi ( e gli altri )...."
 
Clarissa Pinkola Estés esercita da 20 anni la professione di analista. Ha diretto il C.G. Jung Center di Denver e ha conseguito il dottorato sia in etnologia che in psicologia clinica.
"Donne che corrono coi lupi" è il suo primo libro, uscito in Italia nel 1993. Alla base di questo (capo)lavoro vi sono ben 20 anni di lavoro in cui la Pinkola ha selezionato fiabe ascoltate di persona in giro per il mondo e ne ha ricercato documentazioni in più di 200 volumi.
Lo scopo?!? Arrivare a comprendere "la donna selvaggia" insita in ogni donna e che la società tenta di soffocare.
Arrivare far comprendere alle donne che è necessario recuperare la nostra istintualità perduta, la creatività...

lunedì 30 novembre 2009

La donna scheletro

Tratto da "Donne che corrono con i lupi"

< Aveva fatto qualcosa che suo padre aveva disapprovato, sebbene nessuno più rammentasse cosa. Il padre l'aveva trascinata sulla scogliera e gettata in mare. I pesci ne mangiarono la carne e le strapparono gli occhi. Sul fondo del mare, il suo scheletro era voltato e rivoltato dalle correnti.
Un giorno arrivò in quella baia, dove un tempo andavano in tanti, un pescatore. L'amo del pescatore scese nell'acqua e si impigliò nelle costole della Donna Scheletro. Pensò il pescatore: "Ne ho preso uno proprio grosso!" Intanto pensava a quanta gente quel grosso pesce avrebbe potuto nutrire, a quanto sarebbe durato, per quanto tempo avrebbe potuto restarsene a casa tranquillo. E mentre stava cercando di tirare su quel gran peso attaccato all'amo, il mare prese a ribollire, perché colei che stava sotto stava cercando di liberarsi. Ma più lottava e più restava impigliata. Inesorabilmente veniva trascinata verso la superficie, con le costole agganciate all'amo.Il pescatore si era girato per raccogliere la rete e non vide la testa calva affiorare dalle onde, non vide le piccole creature di corallo che guardavano dalle orbite del teschio, non vide i crostacei sui vecchi denti d'avorio.
Quando si volse, l'intero corpo era salito in superficie e pendeva dalla punta del kayak.
"Ah!", urlò l'uomo, e il cuore gli cadde fino alle ginocchia, gli occhi per il terrore si nascosero in fondo alla testa, e le orecchie diventarono rosso fuoco. La gettò giù dalla prua con il remo, e prese a remare come un demonio verso la riva. Non rendendosi conto che era aggrovigliata nella lenza, era sempre più terrorizzato perché essa pareva stare in piedi e seguirlo a riva. Per quanto andasse a zig zag restava lì dietro ritta in piedi e il suo respiro rovesciava sulle acque nuvole di vapore, e le braccia si lanciavano in acqua come per afferrarlo. Alla fine l'uomo raggiunse il suo igloo, si lanciò nella galleria, e a quattro zampe penetrò all'interno. Ansimando e singhiozzando giacque nell'oscurità, con il cuore che batteva come un tamburo. Finalmente al sicuro. Ma quando accese la lampada all'olio di balena, eccola, lei era lì, ed egli cadde sul pavimento di neve con un tallone sulla sua spalla, un piede sul suo gomito. Non seppe poi dire come fu, forse la luce del fuoco ne ammorbidiva i lineamenti, o forse perché era un uomo solo. Fatto sta che sentì nascere come un sentimento di tenerezza, e lentamente allungò le mani sudicie e prese a liberarla dalla lenza. "Ecco, ecco", prima liberò le dita dei piedi, poi le caviglie. E continuò nella notte, e la coprì di pellicce per tenerla al caldo. Cercò la pietra focaia e accese il fuoco. Lei non diceva una parola - non osava - perché altrimenti quel cacciatore l'avrebbe presa e gettata agli scogli.
All'uomo venne sonno, scivolò sotto le pelli e cominciò ben presto a sognare. Talvolta, durante il sonno, una lacrima scivola giù dall'occhio di chi sogna, quando c'è un sogno di tristezza o di struggimento. E questo accadde all'uomo. La Dona Scheletro vide la lacrima brillare nella luce del fuoco, e d'improvviso sentì un'immensa sete. Si trascinò accanto all'uomo addormentato e posò la bocca su quella lacrima. Quell'unica lacrima era come un fiume, e lei bevve e bevve finchè la sua sete di anni non fu placata.
Frugò nell'uomo addormentato e gli prese il cuore, il tamburo possente. Si mise a sedere e si mise a picchiare sui due lati del cuore. Mentre suonava si mise a cantare: "Carne, carne, carne!". E più cantava più si ricopriva di carne. Cantò per i capelli e per buoni occhi e per mani piene. Cantò la linea tra le gambe, e il seno, abbastanza grande da trovarvi calore, e tutte le cose di cui una donna ha bisogno. E poi cantò i vestiti, che si togliessero dal dormiente, e scivolò nel letto con lui, pelle a pelle.  Rimise il grande tamburo, il suo cuore, nel suo corpo, e così si risvegliarono stretti uno nelle braccia dell'altro, aggrovigliati dalla loro notte, in un altromondo, bello e duraturo.
Quelli che non rammentano il perché della sua cattiva sorte di un tempo, dicono che lei e il pescatore andarono via e furono ben nutriti dalle creature che lei aveva conosciuto nella sua esistenza sott'acqua.
Dicono che è vero e che è tutto quanto loro sanno.>

- La Donna Scheletro: di fronte alla Natura Vita/Morte/Vita dell'Amore.

I lupi sanno avere dei rapporti. Chiunque li osserverà, vedrà quanto profondamente sono tra loro legati. Le unioni tra maschio e femmina durano per lo più tutta la vita. Sebbene si scontrino ed esista il dissenso, i loro legami fanno sà che insieme attraversino duri inverni, generose primavere, lunghe marce, nuovi cuccioli, antichi predatori, danze tribali e canti di gruppo. I bisogni relazionali degli esseri umani non sono diversi. Mentre la vita istintuale dei lupi comprende la lealtà e legami di fiducia e devozione che durano tutta la vita, per gli esseri umani tutto ciò costituisce talvolta un problema. Se volessimo usare dei termini archetipi per descrivere quanto determina i forti legami tra i lupi, potremmo supporre che l'integrità dei loro rapporti deriva dalla loro sottomissione all'antica natura Vita/Morte/Vita...
A differenza degli esseri umani, i lupi non giudicano sorprendenti o punitivi gli alti e bassi della vita, l'energia, il potere, il cibo, l'occasione. Le cime e le valli semplicemente sono, e i lupi le percorrono con tutta l'efficienza e la fluidità possibile. La natura istintuale ha la miracolosa capacità di vivere i doni positivi e le conseguenze negative conservando sempre la relazione con sé e con gli altri.
La Donna Scheletro è una storia di caccia sull'amore. Nelle storie che vengono dal Nord l'amore non è un appuntamento romantico tra due innamorati. Le storie delle regioni circumpolari descrivono l'amore come un'unione di due esseri la cui forza fa che uno o entrambi entrino in comunicazione con il mondo-anima e partecipino al fato come fosse una danza con la vita e con la morte.
 Morte nella Casa dell'Amore.
L'incapacità di affrontare e sbrogliare la Donna Scheletro fa sì che molte relazioni amorose falliscano. Per amare bisogna essere non soltanto forti ma anche saggi. La forza viene dallo spirito. La saggezza viene dalla Donna Scheletro. Come vediamo nel racconto, se si desidera essere nutriti per tutta la vita, occorre affrontare e sviluppare una relazione con la natura Vita/Morte/Vita. Allora non inseguiamo più vaghe fantasie ma siamo resi saggi sulle morti o le nascite necessarie per creare una vera relazione. Affrontando la Donna Scheletro impariamo che la passione non è da “cercare” ma è generata in cicli e offerta. La Donna Scheletro dimostra che vivere insieme accrescimenti e decrescimenti, conclusioni e inizi, crea un amore impareggiabile fatto di devozione.
La storia è una bella metafora per il problema dell'amore moderno, la paura per la natura Vita/Morte/Vita, dell'aspetto Morte in particolare. Nella cultura occidentale, il carattere originario della natura Morte è stato ricoperto da vari dogmi e dottrine fino a distaccarsi dall'altra metà, Vita. Erroneamente siamo stati addestrati ad accettare una forma spezzata di uno degli aspetti più profondi e fondamentali della natura selvaggia. Ci hanno insegnato che la morte è sempre seguita ancora dalla morte. Non è cosà: la morte tiene sempre in incubazione una nuova vita, anche quando la propria esistenza è arrivata all'osso.

Le Prime Fasi dell'Amore.

"Il ritrovamento accidentale del tesoro".
Tutti i racconti contengono materiale che può essere considerato uno specchio che riflette i mali o il benessere della vita intima, come pure temi mistici che descrivono le fasi e le istruzioni per mantenere l'equilibrio nel mondo interiore come in quello esterno. Se nella storia della Donna Scheletro potremmo veder rappresentati i movimenti all'interno di una singola psiche, personalmente la trovo particolarmente preziosa se la si interpreta come una serie di sette compiti che insegnano a un'anima ad amarne un'altra bene e profondamente. Eccoli: la scoperta dell'altro come una sorta di tesoro spirituale, anche se a tutta prima si può anche non capire chi è l'altro che si va cercando. Poi, nella maggior parte delle relazioni amorose, la caccia e il nascondimento, l'epoca delle speranze e dei timori. Viene poi il momento del districamento e della comprensione degli aspetti di Vita/Morte/Vita della relazione e la compassione per il compito. Arriva poi la fiducia, la capacità di stare quieti in presenza dell'altro, e poi l'epoca in cui si condividono i sogni per il futuro e le passate malinconie, l'inizio della cicatrizzazione di ferite arcaiche dell'amore. E infine l'uso del cuore per cantare la vita nuova, e il mescolarsi di corpo e anima. Il primo compito, il ritrovamento del tesoro, compare in decine di racconti in tutto il mondo, in cui si descrive la cattura di una creatura dal fondo del mare. Allora sappiamo subito che si scatenerà presto la lotta tra ciò che vive nel mondo di sopra e quanto vive o è stato costretto a restare nel mondo di sotto. In questo racconto il pescatore trova molto più di quanto si sarebbe mai aspettato. Oh, è grosso, pensa, e si volta per prendere la rete. Non si rende conto di sollevare il tesoro più allarmante che gli sarà dato conoscere, più di quanto egli possa governare. Non sa di dover venire a patti, che tutti i suoi poteri saranno messi alla prova. Peggio ancora: non sa di non sapere. E' lo stato di tutti gli innamorati all'inizio: sono ciechi come pipistrelli.
Gli esseri umani ignari hanno la tendenza ad avvicinare l'amore come il pescatore la sua preda: “Spero sia grossa, capace di nutrirmi per un sacco di tempo, capace di eccitarmi e di facilitarmi la vita, di cui potermi vantare con tutti gli altri cacciatori tornando a casa”.
E' questa la naturale progressione del cacciatore ingenuo o famelico. I giovanissimi, i non iniziati, gli affamati e i feriti hanno valori che ruotano attorno al ritrovamento e alla vincita di trofei. I giovanissimi ancora non sanno che cosa vogliono, gli affamati cercano il sostentamento, e i feriti cercano conforto a precedenti perdite. A tutti “capiterà” un tesoro...
Talvolta anche gli innamorati all'inizio di una relazione cercano soltanto un po' di eccitazione, oppure un pizzico di sedativo del tipo “aiutami a superare la notte”. Senza rendersene conto, involontariamente entrano in una parte della psiche, propria e dell'altro, in cui risiede la Donna Scheletro. Mentre il loro io è magari in cerca di divertimento, questo spazio psichico è un terreno sacro per la Donna Scheletro. Se ci aggiriamo in
queste acque, per certo prima o poi la agganciamo.
Ho più volte osservato un fenomeno negli amanti, indipendentemente dal loro sesso. Accade qualcosa del genere: due persone iniziano la danza per vedere se va loro bene di amarsi. D'improvviso la Donna Scheletro viene accidentalmente presa all'amo. Qualcosa nella relazione comincia a decrescere e scivola nell'entropia. Spesso il doloroso piacere dell'eccitamento sessuale si indebolisce, oppure si vedono le parti fragili e lese dell'altro, o la sua inadeguatezza come trofeo, ed ecco allora che la vecchia ragazza calva e dai denti ingialliti affiora in superficie. Pare cosà raccapricciante, ma è la prima volta che si offre una vera opportunità di mostrare coraggio e conoscere l'amore. Amare significa stare con. Significa emergere da un mondo di fantasia in un mondo in cui è possibile un amore sostenibile a faccia a faccia, fatto di devozione. Amore significa restare quando ogni cellula dice: “scappa!”...
Nei miei venti anni di pratica, uomini e donne si sono rintanati sul mio divano dicendo con felice terrore: “Ho conosciuto uno... non ci pensavo, badavo agli affari mei. Neanche mi guardavo attorno, ed ecco che ti incontro quel Qualcuno con la "q" maiuscola. Ora che devo fare?” Mentre continuano a nutrire la nuova relazione, prendono a ritrarsi. Si contraggono, si preoccupano. Soffrono pene d'amore per colpa di quella persona? No. Hanno paura perché cominciano a intravedere un teschio calvo che emerge dietro alle onde della passione. Che fare? Dico loro che è un momento magico, ma non li tranquillizza gran che. Dico loro che ora vedremo qualcosa di meraviglioso, ma non ci credono molto. Li invito a resistere, e ci riescono, ma a fatica. Prima che io lo sappia, dal punto di vista dell'analisi, la barchetta della loro relazione amorosa diventa sempre più veloce. Si ferma a riva e in men che non si dica i due scappano rincorrendo la loro vita, e io come analista dietro, a cercare di metterci una parola. Al primo confronto con la Donna Scheletro quasi tutti provano l'impulso di volare via come il vento, ma il più lontano possibile. Anche la corsa rientra nel processo. E' semplicemente umano, ma la corsa non deve durare a lungo né per sempre.

"La Caccia e il Nascondimento".

La natura Morte ha la strana abitudine di emergere nelle storie d'amore proprio nel momento in cui pensiamo di aver vinto un amante, di aver preso “un pesce grosso”. Ecco quando affiora la natura Morte/Vita/Morte, e getta lo sgomento. Ecco dunque le maggiori contorsioni sul perché l'amore non può, non potrà “funzionare” per una delle parti interessate. Ecco dunque lo sforzo per diventare invisibili, non all'amante, ma alla Donna Scheletro. Ecco il perché di tanto correre e nascondersi. Ma non c'è nessun posto in cui nascondersi.
La psiche razionale va alla ricerca di qualcosa di profondo e non soltanto vi approda, ma si spaventa tanto da non poterne quasi sopportare la vista. Gli innamorati hanno la sensazione di essere inseguiti, e talvolta pensano che sia l'altro a inseguire. In realtà, è la Donna Scheletro. All'inizio, quando impariamo ad amare davvero, fraintendiamo molto. Pensiamo di essere inseguiti, mentre in realtà la nostra intenzione di metterci in relazione con un altro essere umano in un modo speciale è quel che aggancia la Donna Scheletro affinché non ci sfugga. Ovunque stia nascendo l'amore, sempre affiora la forza Vita/Morte/Vita. Sempre...
La fase della corsa e del nascondimento è il momento in cui gli amanti cercano di razionalizzare la loro paura dei cicli Vita/ Morte/Vita dell'amore. Dicono: “Può andare meglio con un altro”, oppure “Non voglio rinunciare a...” oppure “Non voglio cambiare la mia vita”, “Affrontare le mie o le altrui ferite”, “Non sono ancora pronta”, “Non voglio essere trasformata senza sapere prima di tutto i particolari di come apparirò/mi sentirò dopo”.E' un momento in cui i pensieri sono tutti mescolati alla rinfusa, e si cerca disperatamente un riparo, e il cuore batte, non perché si ama e si è amati, ma per vigliacca paura. Essere intrappolati da Signora Morte! Alcuni fanno l'errore di pensare di sfuggire a una relazione con l'amante. Non fuggono dall'amante o dalle pressioni della relazione: cercano di evitare la misteriosa forza Vita/Morte/Vita. La psicologia la diagnostica come “paura dell'intimità, paura dell'impegno”. Ma quelli sono soltanto sintomi. Il problema più profondo è la sfiducia. Dunque la Donna Morte insegue l'uomo attraverso le acque, attraverso i confini tra il territorio inconscio e il conscio della mente. La psiche conscia si fa consapevole di quanto ha preso e cerca disperatamente di superarlo. Nel corso dell'esistenza lo facciamo costantemente. Qualcosa di spaventoso alza la testa. Siamo disattenti e continuiamo a tirare, pensando si tratti di una qualche preda. E' un tesoro, ma non del tipo che ci immaginiamo. Sfortunatamente ci hanno insegnato ad averne paura. Cerchiamo allora di fuggire o di rigettarla, o di dolcificarlo e renderlo quel che non è. Ma non è questa l'opera da compiere. Alla fine, tutti dobbiamo baciare la strega. Lo stesso processo segue l'amore. Vogliamo solamente la bellezza e non vogliamo affrontare “il brutto”. Respingiamo la Donna Scheletro, ma lei va avanti. Corriamo. Lei ci segue. E' la grande maestra che avevamo detto di volere. “No, non questa maestra!” urliamo. Ne vogliamo una diversa. Peccato: è la maestra che tocca a tutti.
Secondo un detto: quando l'allievo è pronto, ecco che il maestro compare. Significa che il maestro arriva quando l'anima, non l'io, è pronta. Il maestro viene quando l'anima chiama - e per fortuna, perché l'io non è mai veramente pronto. Se dovessimo aspettare un io pronto perché il maestro venga a noi, resteremmo per tutta la vita senza maestri. Siamo fortunati, poiché l'anima continua a trasmettere il suo desiderio indipendentemente dalle opinioni sempre mutevoli del nostro io...
Vediamo nel racconto che il dono del corpo è uno degli ultimi nella fasi dell'amore, così come dev'essere. E' bene dominare le prime fasi dell'incontro con la natura Vita/Morte/Vita e lasciare che le esperienze corpo-a-corpo vengano dopo. Attenzione, donne: non accettate l'amante che subito vuole il corpo. Insistete perché tutte le fasi si sviluppino. Il tempo della conoscenza carnale verrà da solo, al momento giusto. Quando l'unione comincia con quella dei corpi, si può seguire dopo il processo di affrontare la natura Vita/Morte/Vita... ma richiede molta maggior decisione. E' un lavoro più difficile perché l'io-piacere dev'essere separato a forza dall'interesse carnale, in modo da poter eseguire l'opera di fondazione. Far l'amore è dunque mescolare respiro e carne, spirito e materia. In questo racconto si accoppiano il mortale e l'immortale, e questo vale per una relazione amorosa duratura. In un bellissimo racconto indiano, un mortale suona il tamburo affinché le fate possano danzare davanti alla dea Indra. Per questo favore sarà ricompensato: una fata gli verrà data in sposa. Qualcosa di simile accade nella relazione amorosa: riceverà un premio l'uomo che si porrà in un rapporto di collaborazione con il regno psichico femminile per lui misterioso. Alla fine della storia, il pescatore è respiro nel respiro, pelle contro pelle con la natura Vita/Morte/Vita. Ciò ha un significato diverso per ogni uomo, e unica è pure l'esperienza dell'approfondirsi della relazione. Sappiamo soltanto che per amare dobbiamo baciare la strega, e altro ancora: dobbiamo far l'amore con lei.
Come in questa storia dovrebbe svilupparsi la relazione amorosa: ogni partner dovrebbe trasformare l'altro. La forza e il potere di ognuno vengono liberati e spartiti. Lui dona il cuore-tamburo, lei la sua conoscenza dei ritmi e delle emozioni più complessi che si possano immaginare. Chissà che cosa cacceranno insieme... Sappiamo solamente che saranno nutriti fino alla fine dei loro giorni.

mercoledì 11 novembre 2009

LA PAURA DI VIVERE

Mi è spesso capitato di guardare gli altri e dire tra me e me che non sappiamo vivere, sempre in  corsa , fare e rifare, fare, fare. "Cosa devo fare?" " Avrò fatto abbastanza?"
Come mai abbiamo tutti questa ansia, sempre preoccupati di non aver fatto abbastanza.
Solo a pensare ai nostri primi momenti di vita inizia a delinearsi un' abbozzo del quadro :
Dopo 9 mesi di vita passati tranquillamente solo a mangiare, dormire, muoversi un po', un giorno ti trovi buttato fuori tra grida, luci forti, persone estranee che ti prendono e ti portano a pesare, lavare... e chissà dopo quanto tempo il primo incontro con la madre. Una madre non sempre contenta, spesso confusa , dolorante, provata, impaurita...
Poi a seconda degli impegni dei genitori i primi anni di "educazione forzata" che può iniziare sin dai primi mesi di vita all'asilo nido, o più tardi all'asilo, poi le scuole...
E tutti a dirti cosa devi fare , cosa non devi fare che ci prendi l'abitudine e quando un giorno ti dicono che ormai sei abbastanza grande da prendere le tue decisioni, tu ti ritrovi che non sei abituato a decidere per te stesso e allora cerchi modelli, qualche traccia da seguire...
A scuola i professori non te lo dicono, ma quello che più ti servirà come riferimento sarà il loro atteggiamento, il loro modo di essere e di proporsi, non le nozioni imposte...

Poi scegli una professione. Tante volte quella verso la quale ti hanno indirizzato i genitori ed i professori. Fai come tutti gli altri: una casa, un lavoro, parenti, amici, hobby, vacanze, viaggi,  libri...
E magari un giorno nonostante tutto sembri vada bene tu ti senti scontento, e inizi a farti delle domande...
Cosa c'è che non va? Cosa vuol dire vivere? Per cosa vivo? C'è qualcosa dopo? C'è un senso in tutto questo?
Delle volte ci pensi di più, altre volte fai di tutto per dimenticarti queste domande. Perché la vita tante volte ti sembra una cosa troppo grande, una lotta continua e qualche volta non senti più il minimo gusto di vivere, vorresti che tutto finisse per trovare la pace...
E magari un giorno qualcuno ti dice che non devi fare niente, devi solo ESSERE, o qualcun altro ti dice che il tuo problema è la paura di vivere. E te rimani contrariato. Come non devo fare niente?! Cosa vuol dire paura di vivere?! Non sto forse vivendo?!
Cosa vuol dire essere? Cosa vuol dire vivere?
Non è facile rispondere e generalmente una vita non basta per scoprirlo.
Ma posso iniziare col dire qualcosa di quello che ho già ,che mi succede, che mi vive...
Le mie paure? La mia paura più grande? E'(era?) quella dell'abbandono.
Quando avevo 3 anni i miei genitori hanno deciso qualle fosse la migliore cosa per me e senza spiegarmi niente mio padre mi ha portata al mare per un mese( dicono che l'aria del mare faccia bene),  in una colonia estiva. Poi ha detto che stava andando a comprarmi una bella bambola e che sarebbe tornato presto... Ed io lì a guardare dalla finestra, ogni giorno, tutti i giorni...
Capita anche adesso che ogni tanto in giorni di pioggia mi metta davanti alla finestra e guardare... come se aspettassi qualcosa...
E per la paura in seguito non ho fatto molte amicizie e comunque ho sempre mantenuto una certa distanza, i ragazzi che ho avuto erano lì perché avevano insistito e ogni tanto magari mi sentivo anche un po' meno sola... Ed ero sempre io a lasciare, tanto avevo avvertito, niente coinvolgimento...In questo modo non si rischiava la sofferenza, capitava mai che decideva qualcun altro ad andarsene, tanto chi se ne frega, chi ti conosce?
Per poi scoprire un giorno che sì, ero stata abbastanza brava a schivare gli altri, a mantenere la distanza, ma come mai la sofferenza mi aveva trovata lo stesso? Nonostante avessi barricato il portone soffrivo lo stesso.
La sofferenza era entrata proprio da quel punto ancora pulsante. Quella sofferenza tagliava in carne viva, ma mi diceva che non ero ancora morta. Allora mi sono resa conto che da sola mi ero messa in una gabbia, per la paura, e provando a nascondermi alla sofferenza, mi stavo rifiutando di vivere...
Mi rendevo conto che solo guardando in faccia le paure si può tornare a vivere. E quando inizi a guardare, la paura si fa sempre piu piccola e allora si crea lo spazio pure per altro, per la vita, per esempio...

E man mano che mi aprivo alla vita, nuove situazioni, nuove persone mi venivano incontro. Ed io ho iniziato a vedere un senso a tutto quanto, mi stavo rispecchiando, mi stavo rinnovando.
E poi sentire... SENTIRE... Sempre di più , sempre meglio...
E poi CAPIRE che la vita è una scuola dove la sofferenza fa da maestra ( elementari e medie) per poi alle superiori venirti incontro la GIOIA e  l'AMORE..

Pian piano mi sto riprendendo la mia vita... Sto tornando a vivere...
Respiro...

Alina

sabato 7 novembre 2009

L'ALTRO

Non so per quale associazione di idee oggi mi sono ricordata qualcosa:
Quando avevo sui 16 anni, avevo l'abitudine di leggere una rivista che mi piaceva molto. Conteneva vari articoli sulle ultime scoperte scientifiche, natura, rimedi naturali, curiosità della natura ecc... E un giorno ho notato una rubrica riservata a chi amava corrispondere. Così mi sono decisa ed ho mandato pure io un mio annuncio, dimenticando però di scrivere la mia età.
In seguito ho ricevuto tante lettere, più o meno di ragazzi e ragazze della mia età. L'ultima lettera è stata di un ragazzo sui 24 anni, ma un po' perché mi sembrava grande per me, un po' perché avevo già abbastanza corrispondenti e perché la lettera arrivava ultima e dopo tanto tempo dall'annuncio, l'ho passata a mia sorella più grande e poco tempo dopo quei due si sposavano...
Tra tutte quelle lettere un giorno ho ricevuto la lettera di un carcerato. Una lettera che mi ha molto sorpresa. Fino allora per me i carcerati erano tutto cattivi, tutta gente da evitare e disprezzare. Quella volta ricevevo una lettera lunghissima, scritta su vari tipi di fogli ( che si era fatto prestare da chi ne aveva), una lettera che mi lasciava stupita. Raccontava la vita di un uomo e ricordo ancora una sua frase con la quale mi diceva che avevo dimenticato di specificare l'età, ma che io fossi una ragazzina o una vecchietta, sperava tanto che io gli rispondessi.
Io mi sentivo a disagio rispondere a qualcuno sui 40 anni, poi mia madre si è pure opposta con decisione (poverina aveva fatto pure un brutto sogno a riguardo - ma quello perché un po' paranoica, tanto lavorava nella polizia in tempi comunisti...)
E così non ho risposto. Ma mi capita certe volte di ricordarmi quella lettera e di sentirmi in colpa...
Quella lettera era una richiesta di aiuto, era il desiderio di un essere umano di parlare ad un altro, di essere ascoltato e compreso...
Quella persona mi ricordava pure un mio ex collega con cui ho fatto le elementari e le medie. Da piccola mi incuriosiva. Io vedevo che era spesso rimpoverato perché monello, ma mi rendevo conto che quello era un suo modo di essere, molto curioso, molto intelligente, senza malizia e molto vivace...Una volta ricordo che il maestro l'ha messo nel banco accanto a me, perché io la più tranquilla e lui troppo irrequieto. E quell'ora io mi sono divertita un sacco per tutte quelle cose che si inventava per farsi passare meglio il tempo...
I professori lo punivano spesso, ai miei tempi picchiavano anche...Più tardi i suoi genitori divorziavano e anni dopo sentivo da mia madre che l'aveva visto in polizia, era indagato...
Io fino a poco tempo fa non pensavo molto a queste cose. Sono stata piuttosto egoista nel disagio dei miei rapporti difficili con gli altri...
Anni dopo, mi vengono i rimorsi. Mi sento responsabile per un bene che avrei potuto provare a fare, ma non ho fatto.
Io sempre sulle mie, a pensare solo ai miei dispiaceri, che mi aspettavo sempre tanto dagli altri e che pensavo di comportarmi come meglio credevo...
Oggi mi rendo conto che tante volte avrei potuto fare di più. Di più per gli altri...
Di più per me stessa...

Alina

mercoledì 7 ottobre 2009

martedì 6 ottobre 2009

"Bambini Indaco e Cristallo" di Doreen Virtue:

“La prima cosa che la maggior parte della gente nota nei Bambini Cristallo sono i loro occhi, grandi, penetranti e saggi al di là della loro età. I loro occhi vi incantano e vi ipnotizzano, mentre vi rendete conto che la vostra anima viene messa a nudo, affinché il bambino possa vederla. Forse avete notato questa nuova “razza” speciale di bambini che sta rapidamente popolando il nostro pianeta. Sono felici, deliziosi e inclini al perdono. Questa generazione di nuovi Lavoratori di Luce ha un’età compresa tra 0 a 7 anni, ed è diversa da tutte le altre generazioni precedenti. Ideali in molti modi, essi sono coloro che indicano ciò verso cui l’umanità si sta dirigendo... ed è una buona direzione! I bambini più grandi (approssimativamente di età dai 7 ai 25 anni), chiamati “Bambini Indaco”, condividono alcune caratteristiche con i Bambini Cristallo. Entrambe le generazioni sono molto sensibili e sensitive, ed hanno propositi di vita importanti. La differenza principale è il loro temperamento. Gli Indaco hanno uno spirito guerriero, poiché il loro proposito collettivo è di spazzare via tutti i vecchi sistemi che non ci servono più. Essi sono qui per sovvertire i sistemi legali, educativi e governativi che mancano d’integrità. Per adempiere a questo fine, hanno bisogno di un carattere forte e di una fiera determinazione.
Gli adulti che resistono al cambiamento e che danno importanza al conformismo possono fraintendere gli Indaco. Essi vengono spesso etichettati con diagnosi psichiatriche di Disturbo da Deficit dell’Attenzione e Iperattività (ADHD= Attention Deficit Hyperactivity Disorder) o Disturbo da Deficit dell’Attenzione (ADD=Attention Deficit Disorder). Purtroppo, se curati in tal senso, spesso gli Indaco perdono la loro meravigliosa sensibilità, i doni spirituali e l’energia combattiva... Al contrario, i Bambini Cristallo sono deliziosi e tranquilli. Occasionalmente possono avere degli attacchi d’ira, ma questi bambini sono molto comprensivi e accomodanti. I Cristallo sono la generazione che beneficia dell’innovazione degli Indaco. Prima, i Bambini Indaco aprono la strada con un machete, tagliando tutto ciò che manca d’integrità, poi i Bambini Cristallo seguono il sentiero ripulito, per condurci in un mondo più sicuro.
I termini “Indaco” e “Cristallo” sono stati attribuiti a queste due generazioni perché descrivono in modo più accurato i loro colori aurici e i loro schemi energetici. I bambini Indaco hanno molto blu indaco nelle loro aure. Questo è il colore del “chakra del terzo occhio”, che è il centro energetico al centro della fronte, situato fra le sopracciglia. Questo chakra regola la chiaroveggenza, o la capacità di percepire l’energia, le visioni e gli spiriti. Molti dei bambini Indaco sono chiaroveggenti.
I Bambini Cristallo hanno aure opalescenti, multicolori, dai bellissimi toni pastello. Questa generazione è affascinata anche dai cristalli e dalle pietre....
I Bambini Indaco percepiscono la disonestà, come un cane percepisce la paura. Gli Indaco capiscono quando una persona mente, quando vengono trattati con condiscendenza o manipolati. E poiché il loro proposito collettivo è quello di introdurci in un nuovo mondo d’integrità, il loro sistema di rilevazione di menzogne è integrale. Come sopra menzionato, lo spirito guerriero fa paura a molti adulti e gli Indaco non sono in grado di conformarsi a situazioni destabilizzanti a casa, al lavoro o a scuola. Non hanno la capacità di dissociarsi dalle loro sensazioni e far finta che vada tutto bene... a meno che non siano sedati o trattati farmacologicamente.
Anche i doni spirituali innati dei Bambini Cristallo vengono fraintesi. Nella fattispecie, le loro capacità telepatiche che li portano ad un uso tardivo della parola.
Nel nuovo mondo che gli Indaco stanno introducendo,a livello intuitivo saremo tutti molto più consapevoli dei nostri pensieri e sensazioni. Non faremo più molto affidamento sulla parola scritta o orale. La comunicazione sarà più veloce, più diretta e più onesta, poiché sarà da mente a mente. Già da ora, un crescente numero di noi sta entrando in contatto con le proprie capacità psichiche. Il nostro interesse verso il paranormale è al livello più alto mai raggiunto prima, accompagnato da libri, spettacoli televisivi e film sull’argomento.
Quindi, non deve stupire che la generazione successiva agli Indaco sia incredibilmente telepatica. Molti Bambini Cristallo hanno ritardato gli schemi del linguaggio, e per loro non è insolito aspettare fino ai 3 o 4 anni per cominciare a parlare. Ma i loro genitori mi dicono che non hanno problemi a comunicare con i loro silenziosi figli. Tutt’altro! I genitori intraprendono una comunicazione mente-a-mente con i loro Bambini Cristallo ed essi utilizzano una combinazione di telepatia, di personale linguaggio gestuale, e di suoni (canzoni incluse) per trasmettere il loro messaggio.
I problemi arrivano quando i Cristallo vengono giudicati dal personale medico e scolastico come portatori di schemi di linguaggio “anormali”. Non è una coincidenza che, dall’accresciuto numero di nati Cristallo, le diagnosi di autismo siano arrivate a livelli record.
E’ vero che i Bambini Cristallo sono diversi dalle altre generazioni, ma perché abbiamo bisogno di rendere patologiche tali differenze? Se i bambini riescono a comunicare bene a casa, e i genitori non riferiscono nessun problema... allora perché cercare di renderlo un problema? Il criterio diagnostico dell’autismo è abbastanza chiaro. Si definisce come autistica una persona che vive nel proprio mondo, ed è sconnessa dagli altri. La persona autistica non parla a causa della sua indifferenza verso la comunicazione con gli altri.
I Bambini Cristallo sono quasi l’opposto. Sono i bambini più connessi, comunicativi, attenti e affettuosi di qualsiasi generazione. Sono anche dotati sotto il profilo filosofico e spirituale e manifestano verso questo mondo un livello di gentilezza e sensibilità senza precedenti. I Bambini Cristallo abbracciano e spontaneamente manifestano affetto alle persone bisognose. Una persona autistica non lo farebbe!
Nel mio libro “La Cura e l’Alimentazione dei Bambini Indaco”, ho scritto che l’acronimo ADHD dovrebbe significare Attention Dialed into a Higher Dimension (Attenzione Sintonizzata ad una Dimensione Superiore). Questo descriverebbe più accuratamente questa generazione. Allo stesso modo, i Bambini Cristallo non meritano l’etichetta di autistici. Non sono autistici! Sono meravigliosi!
Questi bambini sono degni di meraviglia, non di etichette di disfunzione. Se c'è qualcosa di disfunzionale, sono i sistemi che non si adattano alla continua evoluzione della specie umana. Se disonoriamo i bambini con etichette, o li sediamo per sottometterli, avremo minato le basi di un dono mandato dal cielo. Annienteremo una civiltà prima che abbia il tempo di mettere radici. Per fortuna, esistono molte soluzioni ed alternative positive e lo stesso cielo che ci ha mandato i Bambini Cristallo aiuterà quelli di noi che dovranno proteggere questi bambini...

lunedì 5 ottobre 2009

L'allegoria del serpente

Un detto arabo diceva: "kâna el-insana hayyatan fi-l qidam", cioè " una volta l'uomo era serpente".
Riguardo al simbolo del serpente Ernst Junger rifletteva:
" Zarathustra amava il serpente; per lui era l’animale più intelligente. Non può aver avuto in mente il serpente del mondo empirico, l’animale conosciuto e descritto dagli anatomisti e dai biologi.

Deve aver subodorato un’intelligenza diversa e un essere altro rispetto a quello che appare nella natura.
Nel serpente sono certamente presenti l’astuzia e l’intelligenza della Madre terra, ma non in misura maggiore che in tutte le altre creature. Non è questa la spiegazione della paura e della venerazione con cui è guardato in Oriente e in Occidente, del rango che lo pone ancora più in alto delle teste degli dèi e dei sovrani o gli insegna un posto ai piedi della croce. Non è neppure la spiegazione dell’orrore del viandante, per quanto intelligente e coraggioso, che posi il piede davanti all’animale che srotola le spire.
Qui deve agire qualcosa di diverso e di più forte, qualcosa che ha conservato, come mistero rivelato, fino alla nostra epoca, la sua immediata capacità di sorprendere.
Nel serpente non sono tanto il veleno, l’immobilità, la mancanza di arti a spaventare. L’impressione è piuttosto di vedere, per un istante, la trama originaria muoversi. Vita e morte si confondono, il terreno diventa insicuro. In ognuno dei pericoli in cui casualmente ci si imbatte, è nascosto il grande, l’unico pericolo.
In questo senso , il serpente è un segno di confine – ma certamente non l’unico. La sua comparsa risveglia una memoria primordiale, la vicinanza di quella trama in cui anche la
differenza tra la vita e la morte scompare, insieme a tutte le differenze. Il velo si fa più sottile, incolore.
Con il serpente, abbiamo dunque di fronte a noi una maschera, e una maschera riuscita in modo eccellente. Il valore che gli è stato attribuito sin dai tempi più antichi ne è la conferma. Il serpente è l’animale degli dei della morte e anche quello di Asclepio – una creatura in cui il veleno raccoglie le sue due potenze, quella di uccidere e quella di risanare. In lui popoli lontani tra loro nel tempo e nello spazio venerano la potenza originaria della Terra. Con lui hanno inizio e si concludono le trasformazioni."

Simbologia del serpente
fonte:  http://www.procaduceo.org/it_home/simbolo/simbolo.htm
"In tutte le civiltà antiche il serpente è stato considerato positivo o negativo: probabilmente per il fatto che può restare immobile, scattare rapidissimamente, uccidere, sparire e rinnovarsi, abbandonando la vecchia pelle.
Troviamo un serpente nel copricapo del Faraone, qui è sinonimo di saggezza e potere. Nella cultura cristiana è simbolo dell'astuzia che incita al peccato: la Vergine lo schiaccia sotto il piede.
Narra la Bibbia: "Il Signore disse a Mosè: 'Fatti un serpente e mettilo sopra un'asta; chiunque, dopo essere stato morso, lo guarderà resterà in vita'. Mosè allora fece un serpente di rame e lo mise sopra l'asta. Quando un serpente aveva morso qualcuno, se questi guardava il serpente di rame, restava in vita" (Num 21:8-9).
Origine del Caduceo
Narra la leggenda che Mercurio (Hermes), il messaggero degli dei, ricevette un bastone da Apollo. Quando giunse in Arcadia, gli si pararono innanzi due serpenti che si divoravano a vicenda, allora egli gettò il bastone tra loro ed essi si riappacificarono. Da questa leggenda è nato il simbolo del Caduceo, un segno di pace rappresentato da un bastone con due ali aperte e due serpenti attorcigliati che si guardano l'un l'altro.
Per questa ragione, nell'antica Grecia, il Caduceo divenne il simbolo degli araldi negoziatori di pace. Mentre, in origine, doveva proteggergli dai pericoli presenti nei territori stranieri, divenne poi un generico segno di pace. Lo si è anche considerato simbolo dell'equilibrio morale e della condotta esemplare: il bastone esprime il potere; i due serpenti la sapienza, le ali la diligenza, e l'elmo è l'emblema dei pensieri elevati. Gli sono stati attribuiti altri molteplici valori, dalla fecondità-fertilità, alla medicina (anche oggi viene talora utilizzato come insegna dell'attività farmaceutica).
Astronomicamente, la testa e la coda dei due serpenti rappresentano i punti dell'eclittica in cui il Sole e la Luna si incontrano, quasi in un abbraccio.
Metafisicamente, il Caduceo rappresenta la discesa della materia primordiale nella materia grossolana. In tale simbolo, infatti, è rappresentato il pellegrinaggio dell'involuzione e dell'evoluzione, oltre al sentiero diritto dell'iniziazione.
Fisiologicamente, invece, rappresenta le correnti vitali che scorrono nel corpo umano. Per tale ragione Madame Blavatsky chiama l'Albero della Vita il Bastone del Caduceo. Di esso scrive: "I due serpenti sono lo spirito e la materia le cui due teste crescono da un'unica testa, le due code si uniscono sulla terra in una (realtà e illusione)...".
L'asse centrale simbolizza perciò la colonna vertebrale, e i due serpenti che vi si avvolgono alludono all'ascensione dell'energia latente e attorcigliata su se stessa, che si trova alla base della spina dorsale dell'uomo (la Kundalini).
Asclepio, dio della Medicina
Vi è un altro personaggio della mitologia greca, Asclepio, dio della Medicina, che portava il Caduceo. In realtà egli era un semidio, figlio di Apollo e di Coronide figlia del re dei Tessali. La stessa Coronide venne in seguito uccisa da Apollo per mezzo di Artemide, perché lo tradì con un comune mortale.
Asclepio, nato dall'unione tra Apollo e Coronide, fu allevato dal centauro Chirone che ne fece un terapeuta insegnandogli l'arte di guarire. Da adulto divenne un validissimo medico, ma, preso dall'ambizione, si mise a resuscitare i morti. Questo modo di agire non piacque alla regina Ade, dea degli inferi, che se ne lamentò con Giove, il quale, irato per tanta presunzione, lo uccise con una saetta.
Va sottolineato che il Caduceo usato da Asclepio era rappresentato da un solo serpente attorcigliato al bastone, mentre il logo usato dalle Associazioni mediche internazionali ha preferito quello di Mercurio con due serpenti. Forse per rappresentare la lotta tra malattia e guarigione, tra Yin e Yang, tra la vita, la morte e la rinascita; rinascita vista come fenomeno metafisico od anche psicologico, in cui il rinnovamento comporta l'abbandono della "vecchia pelle", composta di abitudini, pregiudizi e preconcetti."

Lo stendardo dei daci rappresentava un lupo con il corpo di dragone. Molto probabilmente l'introduzione dello stendardo previsto di "draco" nell'esercito romano del Basso Impero si deve all'influenza dei daci.

L'utilizzo del serpente-dragone sullo stendardo dei daci potrebbe provare che all'origine questi erano un popolo di iniziati nei segreti della Kundalini rappresentata dal serpente.
Nelle rappresentazioni artistiche, il serpente edenico compare attorcigliato intorno al tronco dell' Albero della Vita.
La mitologia cristiana ci presenta San Giorgio su un cavallo di fuoco che trafigge il drago con una lancia e lo appunta a terra..
Il cavallo di fuoco potrebbe essere il simbolo di Kalki il padrone del Sahasrara. La lancia simbolizza l'irruzione della Kundalini attraverso la colonna vertebrale (la lancia) e la fissazione di quest'energia nel Muladhara, il chakra radice che corrisponde all'elemento terra.
Gheorghios (gr.) significa lavoratore della terra.
Nella mitologia greca incontriamo Pitone, un drago-serpente, figlio di Gea, prodotto dal fango dopo il Diluvio Universale. Custodiva l'Oracolo di Delfi. Morì in seguito ad un epico combattimento contro Apollo che, per questo, si impossessò dell'oracolo e diede alla sacerdotessa il nome di "Pizia" (Pitonessa).

Manawee, storia afro-americana

C'era una volta un uomo che corteggiava due sorelle gemelle. Ma il loro padre gli disse: “Non potrai averle in moglie finché non ne indovinerai i nomi”. Manawee provava ma non riusciva a indovinare i nomi delle due sorelle. Il padre delle giovani scuoteva il capo e ogni volta lo mandava via.
Un giorno Manawee portò con sé il suo cagnolino, il quale si avvide che una sorella era più graziosa e l'altra era più dolce. Sebbene nessuna delle due sorelle possedesse tutte le virtù, al cagnolino piacevano moltissimo perché gli diedero delle leccornie e gli sorrisero guardandolo negli occhi.
Anche quel giorno Manawee non riuscì a indovinare i nomi delle giovani, e se ne tornò tristemente a casa. Ma il cagnolino tornò correndo alla capanna delle giovani. Poggiò l'orecchio sotto un muro e udì le ragazze che tra loro dicevano quanto era bello e virile Manawee. Intanto si chiamavano per nome, e il cagnolino udì e corse il più velocemente possibile per riferire tutto al suo padrone.
Ma accanto al sentiero un leone aveva lasciato un grosso osso con un bel po' di carne; il cagnolino ne sentì immediatamente l'odore, e senza pensarci un attimo si lanciò nella giusta direzione. Con enorme piacere divorò la carne e leccò l'osso finché non ebbe più alcun odore. Oh! il cagnolino d'improvviso si ricordò della missione incompiuta, ma purtroppo nel frattempo aveva dimenticato i nomi delle giovani. Di nuovo corse alla capanna, e questa volta era notte e le giovani si ungevano l'un l'altra braccia e gambe, preparandosi forse a una cerimonia. Di nuovo il cagnolino le udì chiamarsi per nome. Fece un salto per la felicità, e riprese la corsa verso la capanna di Manawee, ma dai cespugli venne un profumo di noce moscata. Non c'era nulla al mondo che il cagnolino amasse più della noce moscata. Subito deviò in quella direzione, e trovò una bella torta ai mandarini cinesi messa a raffreddare su un ceppo. In men che non si dica la torta non c'era più, e il cagnolino aveva l'alito profumato di noce moscata. Mentre trotterellava verso casa con la pancia piena, cercò di rammentarsi i nomi delle giovani, ma ancora una volta li aveva dimenticati. Così il cagnolino tornò di corsa alla capanna, e questa volta le due sorelle si stavano preparando per le nozze. “Oh, no!” pensò il cagnolino, “il tempo stringe”. E quando le sorelle si chiamarono per nome, il cagnolino si ficcò i loro nomi in testa e corse via, assolutamente e risolutamente deciso a non farsi sviare da nulla e a dire subito i due preziosi nomi a Manawee.
Il cagnolino intravide della cacciagione sul suo cammino, ma la ignorò. Gli parve di sentire un vago odore di noce moscata nell'aria, ma ignorò anche quello e corse a tutta velocità dal suo padrone. Ma il cagnolino fu colto di sorpresa da un estraneo tutto nero che sbucò dalle siepi e lo afferrò per la collottola e lo scosse così brutalmente che quasi gli cascava la coda.
Perché proprio questo accadde, e lo straniero continuava a urlare: “Dimmi quei nomi! I nomi delle due giovani, così le vincerò”.
Il cagnolino temeva di svenire tanto era dolorosa la stretta, ma lottò coraggiosamente: ringhiò, graffiò, scalciò, e alla fine morse il gigantesco straniero tra le dita, e i suoi dentini pungevano come vespe. Lo straniero urlò rabbiosamente, si agitò come un bufalo, ma il cagnolino non mollò la presa. Lo straniero si buttò tra i cespugli con il cagnolino che gli spenzolava dalla mano.
“Lasciami, lasciami andare, cagnolino, e io lascerò andare te”, pregò lo straniero nero. E il cagnolino brontolò tra i denti: “Non farti più rivedere, altrimenti non vedrai mai più l'alba”. E così lo straniero si diede alla fuga, gemendo e lamentandosi. E il cagnolino un po'correndo e un po' zoppicando riprese la strada per raggiungere Manawee. Sebbene sanguinasse e gli dolessero le mandibole, i nomi delle giovani erano ben chiari nella sua mente, e saltò in braccio a Manawee tutto contento. Manawee gli lavò le ferite, e il cagnolino gli raccontò tutta la storia e gli disse i nomi delle due sorelle. Manawee corse dunque al villaggio delle giovani portandosi sulle spalle il cagnolino, le cui orecchie fluttuavano nell'aria come code di cavallo.
Quando Manawee arrivò dal padre con i nomi delle due figlie, le gemelle ricevettero Manawee vestite di tutto punto per mettersi in viaggio con lui: non avevano mai smesso di aspettarlo. Ecco come Manawee conquistò due delle più belle ragazze della regione. E tutti e quattro, le due sorelle, Manawee e il cagnolino vissero insieme felici e contenti per tanto tanto tempo.

La duplice natura delle donne:
Questa storia rivela un antichissimo segreto: per conquistare il cuore della donna selvaggia, un compagno deve comprenderne sempre meglio la naturale dualità. Se etnologicamente possiamo figurarci le due donne come promesse spose in una cultura poligamica, in una prospettiva archetipica la storia parla del mistero di due potenti forze femminili in una stessa donna.
La storia di Manawee contiene i fatti fondamentali per arrivare all'intimità con la donna selvaggia. Grazie al cane fedele, Manawee indovina i due nomi, le due nature del femminino. Non potrà vincere se non risolverà il mistero, e per farlo deve ricorrere al suo io istintuale - l'io-cane. Con la donna selvaggia si è in effetti in presenza di due donne: un essere esterno e una "creatura" interiore, una che vive nel mondo di sopra, e una che vive in un mondo non facilmente visibile. L'essere esterno vive alla luce del giorno ed è facile osservarlo. E' spesso pragmatico, acculturato e molto umano. La creatura, per contro, spesso sale in superficie arrivando da molto lontano, apparendo e rapidamente scomparendo, lasciandosi sempre dietro una sensazione: qualcosa di sorprendente, originale, sapiente.
La comprensione di questa duplice natura talvolta induce gli uomini, e persino le donne, a chiudere gli occhi e a chiedere aiuto al cielo. Il paradosso della natura gemella delle donne è che quando un lato è più freddo, l'altro è più caldo. Quando uno è più indugiante e ricco nella relazione, l'altro può talvolta essere glaciale. Spesso un lato è più felice ed elastico, mentre l'altro tende al “Non so”. Uno può essere solare, l'altro agrodolce e meditabondo. Queste “due-donne-che-sono-una” sono elementi separati ma congiunti che
si combinano in migliaia di modi.
Il potere del Nome.
Il nominare una forza, una creatura, una persona o una cosa presenta vari connotati. Nelle culture in cui i nomi sono accuratamente scelti per i loro significati magici o augurali, conoscere il vero nome di una persona significa conoscere il modo di vita e gli attributi che ha l'anima di quella persona. E il motivo per cui il vero nome è spesso tenuto segreto è di proteggere colui che quel nome porta affinché possa crescere nel potere del nome, affinché nessuno lo denigri o lo distragga da esso, e l'autorità spirituale della persona
possa svilupparsi appieno.
Nelle favole e nei racconti popolari al nome si aggiungono parecchi altri aspetti, e questi per l'appunto operano nel racconto di Manawee. Se in alcuni racconti i protagonisti cercano di sapere il nome di una forza malevola per acquisire su di essa potere, più spesso si vuol conoscere il nome per riuscire a convocare quella forza o persona, per chiamarla accanto a sé e avere con lei una relazione.
Nel racconto di Manawee, infatti, questi va avanti e indietro, facendo sinceri sforzi per attrarre a sé il potere del Due. E' interessato a nominare le due sorelle "non" per impadronirsi del loro potere ma piuttosto per conquistare un suo potere "pari" al loro.
Sapere i nomi significa conquistare e conservare la consapevolezza della natura duale. Per quanto lo si desideri e si ricorra a tutta la propria forza, non si può avere una relazione in profondità senza conoscere i nomi. Indovinare i nomi della natura duale, delle due sorelle, è inizialmente un compito altrettanto difficile sia per le donne sia per gli uomini. Ma non deve crearsi angoscia. Se siamo interessati a scoprire i nomi, siamo sulla strada giusta. E quali sono i nomi esatti di queste due sorelle simboliche nella psiche femminile?
Ovviamente variano da una persona all'altra, ma in qualche modo tendono a essere opposti. Come spesso avviene nel mondo naturale, a tutta prima possono apparire tanto vasti da essere privi di modello o di ripetizione. Ma l'osservazione ravvicinata della natura duale, porre domande e ascoltare le risposte riveleranno presto un modello, ampio, è vero, ma dotato della stabilità del flusso e riflusso delle onde; le alte e le basse maree sono prevedibili, si possono disegnare mappe delle correnti più profonde.
Dire il nome di una persona è come esprimere un augurio o benedirla. Noi nominiamo questi duplici temperamenti in noi medesime per sposarci a essi. Nominando scopriamo significati personali e nascosti e la selvaggia bellezza della femminilità, indipendentemente dalle personalità dei nostri opposti. Questo nominare e sposare si chiama, in parole umane, amore di sé. Quando si dà tra due persone diverse si chiama amore per un altro.
Manawee cerca ma non riesce a indovinare i nomi delle gemelle ricorrendo soltanto alla sua natura mondana. L'io-cane agisce al servizio di Manawee. Le donne spesso desiderano follemente un compagno dotato di questa resistenza e dello spirito per continuare a cercare di comprendere la loro natura profonda. La donna che trova un compagno fatto di questa sostanza gli resta fedele e lo ama per tutta la vita.
Nel racconto il padre delle gemelle ha la funzione di custode della coppia mistica. Simboleggia un tratto intrapsichico che assicura l'integrità delle cose “insieme”, non separate. Controlla inoltre la dignità, la “giustizia” del corteggiatore. E' un bene per le donne avere un siffatto osservatore.
In questo senso si potrebbe dire che una psiche sana valuta i nuovi elementi che chiedono di esservi immessi; che la psiche ha una sua integrità, una capacità di screening. Una psiche sana che contiene un guardiano paterno non ammette qualsiasi pensiero, atteggiamento o persona, ma solamente quelli che sono coscienti o lottano per essere tali.
Dice il padre delle due sorelle: “Aspetta. Finché non riuscirai a convincermi che sei veramente interessato a conoscerne la vera essenza - i nomi veri - non avrai le mie figlie”. Dice il padre: non puoi comprendere i misteri femminili solo ponendo domande. Prima devi darti da fare. Devi faticare. Devi avvicinarti ancora di più alla verità vera di questo enigma dell'anima femminile, e questo sforzo è nel contempo una discesa e un enigma.
La tenace natura canina.
I cani sono generatori di rapporto, è l'altro lato della natura dualistica maschile. E' la natura capace di conoscere la natura selvaggia delle donne.Il cane è simile al lupo, soltanto un po' più civilizzato, ma non molto, come si deduce del resto dalla storia. Questo cagnolino, come psicopompo, è la psiche istintiva. Ode e vede in modo diverso dall'essere umano. Si muove a livelli a cui l'io non penserebbe mai. Ode parole e istruzioni che l'io non può udire. E segue quel che sente.
Una volta, in un museo della scienza di San Francisco, entrai in una sala piena di microfoni e altoparlanti che simulavano l'udito del cane. Quando una palma era agitata dal vento, pareva Armageddon; quando in lontananza si sentivano dei passi, era come se interi sacchi di cornflakes venissero sgranocchiati nel mio orecchio. Il mondo del cane è pieno di suoni da cataclisma, che noi esseri umani non percepiamo affatto.
Dunque l'udito canino supera la gamma dell'udito umano. Questo aspetto medianico della psiche istintuale intuitivamente ode l'opera profonda, la musica profonda, i profondi misteri della psiche femminile. Questa è la natura capace di conoscere la natura selvaggia delle donne.
L'appetito seduttivo.
Non a caso uomini e donne lottano per trovare i lati più profondi della loro natura, eppure si lasciano distrarre da molteplici ragioni, per lo più da piaceri di vario genere. Alcuni diventano dipendenti da questi piaceri e restano per sempre intrappolati, incapaci di continuare il loro lavoro. Anche il cagnolino a tutta prima è distratto dai suoi appetiti. Spesso gli appetiti sono piccoli affascinanti "forajidos", ladruncoli, dediti al furto di tempo e libido. Jung osservava che un certo controllo dev'essere posto sull'appetito umano, altrimenti ci si ferma per qualsiasi osso, per qualsiasi torta. I compagni che, come il cane, cercano di dare un nome alle dualità possono perdere la loro risolutezza e abbandonarsi alle tentazioni che trovano sul loro cammino, specialmente se sono creature funeree o affamate. E possono anche perdere la memoria del loro intendimento. Possono essere tentati/attaccati da qualcosa proveniente dal loro inconscio che desidera imporsi alle donne per approfittarne, oppure sedurre le donne per puro piacere, o nel tentativo di allontanare la vacuità di un cacciatore. Mentre torna dal padrone, il cagnolino è distratto da un osso succulento, e finisce col dimenticare il nome delle giovani...
Il lavoro profondo ha molto in comune con l'eccitazione sessuale. Comincia a livello zero, sale al “plateau”, diventa forte e intensa. Se la fase “plateau” viene bruscamente interrotta, per esempio da un rumore forte e inatteso, improvviso, bisogna ricominciare da capo. Si dà una tensione simile nel lavoro con lo strato archetipo della psiche. Se la tensione viene interrotta, bisogna ricominciare quasi dal nulla. Molte sono le ossa per la strada, succose, deliziose, interessanti, selvaggiamente eccitanti. Ma riescono a produrre l'amnesia, tanto da dimenticare non soltanto a che punto siamo del lavoro, ma perfino di che lavoro si trattava. Saggiamente il Corano dice: “Sarete chiamati a dar conto di tutti i piaceri permessi in vita che non avete goduto mentre eravate sulla terra”. Tuttavia, una cosa buona, in eccesso o in piccola dose, al momento sbagliato può provocare un'imponente perdita di consapevolezza. Allora, ci aggireremo come un professore con la testa tra le nuvole mormorando: “Ma dove diavolo ero?” Ci vogliono settimane, talvolta mesi, per riprendersi da queste distrazioni. Nella storia il cagnolino torna dalle sorelle, ne riode i nomi, riprende la corsa verso casa. Ha l'istinto giusto di tentare e ritentare. Ma la torta lo distrae, e di nuovo dimentica i nomi. Un altro aspetto dell'appetito ha assalito la creatura e l'ha allontanata dal suo compito, cosà il ventre è soddisfatto ma l'anima no. Cominciamo a capire che questo processo di mantenere la consapevolezza, in particolare di non abbandonarci agli appetiti capaci di distrarre mentre cerchiamo di scoprire le connessioni psichiche, è difficile e lungo. Il cagnolino fa di tutto, ma è lunga la strada dall'inconscio archetipo profondo alla mente conscia. E' un lungo percorso giù verso i nomi e poi su verso la superficie. Trattenere la conoscenza nella consapevolezza è difficile quando tante trappole sono tese lungo il cammino. La torta e l'osso rappresentano seduzioni capaci di distrarre, ma a modo loro deliziose: in altri termini, nella psiche di ognuno ci sono elementi tortuosi, ingannevoli, e deliziosi. Sono elementi anticonsapevolezza: prosperano mantenendo le cose oscure ed eccitanti. Talvolta è difficile rammentare a noi stessi che stiamo rinunciando all'eccitamento della luce.
Il cane è il portatore di luce: cerca di portare la connessione conscia alla mistica natura gemellare. Ritmicamente “qualcosa” cerca di impedirlo, qualcosa che non si vede ma che sicuramente ha messo là l'osso e la torta. Indubbiamente è lo straniero scuro, altra versione del predatore naturale della psiche, che si oppone alla consapevolezza. Per via della sua naturale presenza nella psiche, anche quella più sana è suscettibile di perdere il suo posto. Ricordare il vero compito e continuare a rammentarlo a se stessi come in un mantra ci riporterà alla consapevolezza.
La conquista della fierezza.
La psiche sceglie la priorità e riesce a concentrarsi, ora è decisa. Ma ecco che una cosa nera d'improvviso assale il cagnolino, per lui il femminino è una proprietà da vincere e nulla più. Lo straniero può essere una creatura reale del mondo esterno o un complesso negativo interiore. Gli effetti devastanti sono gli stessi. Il cagnolino lotta per conservare i nomi. Mettere il potere nelle mani giuste è importante quanto trovare i nomi.
La donna interiore.
Se una donna vuole un compagno sensibile deve rivelargli il segreto della dualità femminile. Deve parlargli della donna interiore, che insieme a sé fa due. Lo farà insegnando due domande che la faranno sentire guardata, ascoltata, conosciuta: "Che cosa vuoi?", "Che cosa desidera il tuo io più profondo?". Per amare una donna, il compagno deve amarne anche la natura selvaggia.. l'amante più prezioso è colui che desidera imparare. Se c'è una forza che alimenta la radice del dolore, quella è il rifiuto di apprendere ancora. Il buon compagno è colui che continua a tornare per capire e non si lascia scoraggiare.
Se un lato della natura duale femminile si può chiamare Vita, la sorella gemella della vita è una forza detta Morte. La donna selvaggia, l'amante selvaggio, sanno sopportarne la vista. E ne escono completamente trasformati.

Tratto da Donne che corrono coi lupi di Clarissa Pinkola Estes

lunedì 28 settembre 2009

LA LUCE OLTRE LA VITA , R. Moody

Il dottor Michael Grosso è un filosofo, e occupa pertanto una posizione unica nel campo della ricerca sull’esperienza di pre-morte. Anziché compilare dati empirici, come fanno i colleghi scienziati, Grosso indaga sui legami tra le esperienze di pre-morte e le grandi verità filosofiche. E li trova anche: come vedrete di seguito, il dottor Grosso vede una stretta connessione tra le esperienze di questi soggetti e le dottrine dei grandi pensatori, da Platone a Cristo. Tuttavia, non è questa l'unica associazione scoperta da questo filosofo formatosi all’Università della Columbia: quando andai a trovarlo nella sua casa di Riverdale (New York), ero curioso di sentirlo parlare della sua convinzione che le esperienze di premorte siano legate a molti altri fenomeni parapsicologici, come quello della trasmissione del pensiero. «Esistono molte vie d’accesso al mondo dello spirito - disse Grosso, - in gran parte molto più facili della morte».
Per il dottor Grosso, l’esperienza di pre-morte è un barlume di religione aconfessionale, della «religione come la intendeva Dio».
Ecco com’egli si esprime sull’argomento:
V’è in Platone quel mito meraviglioso chiamato «Il Mito della Terra Vera»: ne parla Socrate in prigione, prima di bere il veleno come ultima punizione per aver «corrotto» la gioventù di Atene.
Egli spiega ai suoi seguaci la condizione della «terra vera» e dello spirito, una volta liberato dal corpo. Ecco cosa dice:
Quelli però che sono ritenuti aver condotto una vita di eccezionale moralità... sono coloro i quali verranno liberati e riscattati dal confino in queste regioni terrene, per salire alla pura dimora, stabilendosi sulla superficie della terra. E quelli tra costoro che si saranno sufficientemente
purificati con la filosofia vivranno da allora in poi semplicemente senza un corpo, e raggiungeranno abitazioni ancora più belle, che non è facile descrivere.
Il punto più interessante, nell’opera di Platone, è che, in questo concetto più alto della terra vera, gli esseri umani sono in diretto contatto con gli dei. E' esattamente quanto io ho dedotto dalle esperienze di premorte. Sono convinto che questi soggetti abbiano comunicato con «gli dei» durante l’esperienza e che, pertanto, abbiano molto da insegnarci. Nel periodo in cui studiavo per la cattedra di filosofia ebbi una quantità di esperienze straordinarie, come per esempio quella di vedere un UFO, il che scatenò la mia fantasia.
Cominciai quindi a leggere libri di parapsicologia finché, qualche anno dopo, m’imbattei nei saggi sui fenomeni di pre-morte. Improvvisamente mi trovai a occuparmi di ricerca sull’eventualità di
un’altra vita. Quel che particolarmente mi affascinava, dell’esperienza di premorte, era il fatto che quella gente sembrava essersi recata nella terra vera descritta da Platone, con la differenza che questi erano episodi reali e non simbolici. In pieno ventesimo secolo, qualcuno viveva un’esperienza in perfetta risonanza con le descrizioni della visione platonica! Questo eccitava la mia immaginazione. Mi misi alla ricerca di queste persone: pensavo che la maggior parte di quella gente non fosse disposta a parlare, ma scoprii ben presto che invece erano tutti ansiosi di trovare un orecchio ricettivo. Puntualmente, il soggetto precisava: «Sa, non ne parlo quasi con nessuno!» prima di raccontarmi la sua storia affascinante. Per tutto il tempo, rimanevo incantato: era come sentire la descrizione di un viaggio in un altro paese, in un posto che da
sempre mi spaventava, ma che sapevo che un giorno avrei esplorato io stesso.
Faccio l’esempio di una donna che, durante un parto difficile, ebbe un collasso cardiaco. Mentre i medici s’impegnavano con tutti gli sforzi di rianimarla, il marito (che era presente) fu preso dal panico: era così sconvolto, che sembrava vi fosse un altro paziente in sala operatoria. Comunque, i medici riattivarono il cuore della donna e fecero nascere il bambino con taglio cesareo. La sera, quella donna raccontò al marito di aver lasciato il proprio corpo e di aver assistito dal soffitto a tutto quanto accadeva mentre era «morta»: sebbene fosse ancora intontita, riferì tutto quel che aveva visto, compresa la sua faccia avvilita in un angolo della stanza.
Vi fu un altro signore che mi descrisse con grande vivacità la sua notevolissima esperienza di pre-morte, così completa che andava dall’abbandono del corpo all’esame della vita. Tuttavia, non era tanto l’episodio in se stesso che l’aveva impressionato, quanto le sue conseguenze: era stupito della grande sensibilità acquisita. Prima dell’esperienza, era un uomo duro e bloccato dalla logica; adesso, si ritrovava ad essere molto più malleabile e fantasioso. Il più delle volte la mia reazione era di tipo intellettuale, nel senso che vi vedevo associazioni con cose di ogni genere: per esempio, col Libro tibetano dei morti e con l’esperienza di San Paolo nella Bibbia. Quei racconti evocavano in me un’infinità di reminiscenze culturali, come la storia fantastica di S. Tommaso d’Aquino, il filosofo e teologo dell’undicesimo secolo che impiegò quasi tutta la vita a scrivere profusamente, finché, dopo aver visto la luce, disse: «Tutto ciò che ho scritto è paglia». Smise di scrivere e, nello spazio di un anno, morì misteriosamente.
Dopo aver ascoltato tutte quelle storie, mi resi conto che della gente ordinaria, incolta, non preparata dal punto di vista mistico o filosofico, mi stava dando un barlume del regno dell’anima quale si riscontra soltanto in altre fonti, come gli scritti dei mistici, dei filosofi e dei poeti. Era come sistemare altri pezzi nel puzzle, come focalizzare finalmente un quadro: era questa l’eccitazione che provavo.
A volte mi domando se non sia giusta l’idea dei grandi saggi indù, secondo la quale basta la presenza di un essere altamente evoluto perché il meno evoluto ne ricavi uno scuotimento spirituale... una specie d’imposizione delle mani. A volte mi domando se non sia questa l’attrazione esercitata da questi racconti: trovandoci a contatto con queste persone riceviamo come una carica di energia. E di un’energia, secondo me, addirittura divina. Sono convinto, come molti altri, che avere un’esperienza di premorte significa entrare in una dimensione divina della coscienza umana, latente in ciascuno di noi.
Altri ricercatori hanno suggerito che vi sono altri modi di prendere contatto con questa dimensione della coscienza. Così, in qualche modo, se si parte dal modello teutonico di conoscenza di Platone (secondo il quale la conoscenza è la reminiscenza di cose che già sappiamo), la consapevolezza spirituale è già latente in tutti noi.
Mi domando quindi se il motivo della profonda attrazione esercitata dalle esperienze di pre-morte non sia il fatto che esse sollecitano dei ricordi radicati in noi. E' una specie di ritorno alle
origini: i racconti di esperienze di pre-morte sono come l’eco di qualcosa che è dentro di noi, e non ci stanchiamo mai di sentirli, perché risvegliano in noi questa consapevolezza. Naturalmente, mi sono anche posto dei problemi: come spiegare queste esperienze? Non saranno soltanto un’illusione, un frutto della fantasia? Credo che i casi che mi hanno maggiormente impressionato siano stati quelli in cui era palese l’esperienza extracorporea: di fronte all’accuratezza delle descrizioni, è impossibile ignorarli. Nel complesso, l’esperienza di pre-morte è un evento positivo, che tende a migliorare l’individuo; vi sono tuttavia i casi di esperienza di pre-morte negativa. Ho sempre preso sul serio questi ultimi, chiedendomi perché fossero così limitati. Abitualmente, il
fenomeno ha un effetto positivo come qualsiasi esperienza mistica, ma può essere terribilmente spaventoso al momento.
Permetta che le racconti il caso molto singolare di un giovane che tentò il suicidio: questo ragazzo era sempre stato un buono a nulla e non riusciva a concludere granché. Un giorno, prese un’overdose di medicinali che gli provocò due tipi di esperienze. Dapprima, semplicemente la sofferenza fisica, il disagio e l’orrore di sprofondare nello stato di pre-morte: ebbe un arresto cardiaco e si fece tutto livido. Per pura fortuna, alcuni amici presenti riuscirono a portare sul
posto del personale medico che lo rianimò. Il racconto dell’esperienza di pre-morte di quel ragazzo è il più ossessivo che abbia mai sentito. Mi parlò di esseri orripilanti che lo ghermivano, di un senso di claustrofobia, di ostilità, di terrore: quel racconto faceva pensare all’inferno di Dante. Non v’era nulla di positivo nella sua esperienza: nessun episodio extra-corporeo, nessun essere di luce, nulla di bello o di piacevole. Tuttavia, ne uscì completamente trasformato. Era diventato un altro, e io lo sentivo: v’era in lui una chiarezza, una moralità, un senso di autodeterminazione. Non che fosse particolarmente dotato o ambizioso, ma aveva acquisito un notevole senso di responsabilità. V’è un risvolto interessantissimo nella storia di questo ragazzo:
ero felice di aver potuto registrare il racconto dettagliato di quell’esperienza infernale ma, quando andai per riascoltarlo, si era cancellato tutto. Il registratore, che possedevo da almeno dieci anni, aveva sempre funzionato e ha sempre funzionato in seguito: eppure, la registrazione di quell’esperienza era sparita. Non so come spiegarlo: sarà stata una coincidenza, ma certamente molto strana.
Lo studio delle esperienze di pre-morte ha apportato due cambiamenti in me. Primo, mi sento maggiormente in contatto con la vita, e questo è un effetto liberatorio; l’altro interessante cambiamento deriva dal fatto che il fenomeno consente d’intravedere molte cose associate all’esperienza religiosa: stranamente, quando mi sembra di averne abbastanza di questa roba, mi accorgo che continuo a tornarci sopra per i mille riscontri che essa ha nella mia vita. Gli aspetti religiosi del fenomeno hanno certamente una grande importanza: paradossalmente, molte persone reduci dall’esperienza di pre-morte dicono che il più bel momento della loro vita è stato
quello in cui stavano per morire. Questo fa pensare alle parole di Euripide «Come facciamo a sapere che i vivi non sono morti e i morti non sono vivi?» e suggerisce il capovolgimento totale del comune buon senso. Io lo trovo affascinante, molti invece lo trovano inquietante, angosciante. Io vi trovo qualcosa di surrealistico, e sono sempre stato un ammiratore del surrealismo: in un certo senso, queste esperienze ci suggeriscono che la nostra abituale percezione del mondo potrebbe anche essere invalidata.
Qualcuno ha tentato di spiegare l’esperienza di pre-morte come un meccanismo biologico che interverrebbe in punto di morte. Non accetto questa spiegazione, perché non vedo quale vantaggio ne trarrebbe l’organismo una volta che fosse iniziato il processo di morte irreversibile. Mi è difficile immaginarla come una funzione biologica, perché lo trovo paradossale: quale bene farebbe al corpo un tipo di evoluzione simile? Altra cosa è, invece, l’evoluzione spirituale. Come disse un filosofo: «Il genio è quello che viene fuori quando ci si trova con le spalle al muro». Come società, non v’è dubbio che siamo già con le spalle al muro: il muro del nucleare. Se ci riflettete, non abbiamo più grandi possibilità di sopravvivenza biologica, a meno che non operiamo un’evoluzione spirituale... o un’involuzione: sono infatti convinto che quella che stiamo attuando sia una recrudescenza della conoscenza spirituale che è dentro di noi. Può anche darsi che, nell’incomprensibile schema dell’evoluzione, lo sviluppo di questa tecnologia autodistruttiva stimoli in realtà il risveglio dello spirito; può darsi che l’evoluzione spirituale sia quella che si verifica quando, come specie, non abbiamo una via d’uscita. Penso che sia proprio il rischio dell’autodistruzione massiccia attraverso queste armi incredibilmente sofisticate a provocare il
fenomeno fisico globale cui oggi assistiamo.
Il fenomeno dell’esperienza di pre-morte è soltanto uno dei numerosi esempi di quest’accelerazione nello sviluppo tecnico e intellettuale. Tutti questi eventi dello spirito sono legati a uno stesso filo. ..
Secondo me, v’è una sorta di interrelazione fondamentale tra queste esperienze, tutte manifestazioni del mutamento della coscienza collettiva di fronte all’eventualità dell’annichilimento nucleare. A questo proposito, è interessante notare che il fenomeno degli
UFO è cessato nel 1947, pochi anni dopo la prima bomba atomica e che, contemporaneamente, v’è stato in tutto il mondo un improvviso incremento delle visioni mariane.
Sono inoltre convinto che i cosiddetti fenomeni comunicativi, quelli in cui certuni riescono a parlare con i morti, siano un’altra versione del processo di rivelazione: si potrebbe dire, infatti, che il fenomeno comunicativo sia una facile via d’accesso all’esperienza di
pre-morte, un’apertura allo stesso tipo di conoscenza ma senza pericolo di vita. Secondo me, tutti coloro che hanno questo genere di esperienze passano per la stessa porta, ma in maniere diverse. Questo modo di pensare non ha leso né ha migliorato la mia reputazione nell’ambito professionale. Se alcuni colleghi che insegnano con me presso il Jersey City State College hanno voluto prendere in esame questi fenomeni, per lo meno altrettanti si sono rivelati contrari.
Gli accademici tendono ad associare lo studio di questi avvenimenti a qualcosa di retrogrado, superstizioso e irrazionale: tale atteggiamento non mi ha danneggiato, ma neanche mi ha aiutato. Suppongo che dovrei accontentarmi di questa corretta neutralità.